Nel silenzio assordante di un’urna vuota, la medesima in cui ci saremmo tutti dovuti recare a salvaguardia del nostro futuro e per sfruttare una di quelle pochissime (per non dire “rare”) che i cittadini italiani hanno a disposizione per far sentire la propria voce, ossia i Referendum, a perdere in questi giorni non è stato chi sperava nel raggiungimento del quorum tantomeno ha vinto chi auspicava ad un risultato diametralmente opposto. Al contrario, la sola ad esserne uscita sconfitta è stata la democrazia. Non c’è altra verità!
Le votazioni per i questi referendari dell’8 e del 9 giugno avrebbero dovuto rappresentare un momento sacro, un’occasione per esercitare quel diritto – anzi, quel DOVERE – che dà senso alla parola “Repubblica”. E invece, ancora una volta, l’Italia ha voltato le spalle a se stessa.
Forse non meritiamo le proposte avanzate nei Referendum dell’8 e del 9 giugno
Vergognoso è un termine forte, ma necessario. È vergognoso che i giovani abbiano preferito un weekend al mare ad una cabina elettorale. Altresì lo è i meno giovani, i più disillusi, o chissà, magari semplicemente più pigri, abbiano scelto l’apatia alla partecipazione. È vergognoso che un Paese che ha lottato, sofferto e pianto per conquistare il diritto al voto, oggi lo getti via come carta straccia. Il nostro è uno Stato fondato sul lavoro, sì, ma anche sulla partecipazione.
L’Italia è una repubblica democratica, e questo significa che il potere appartiene al popolo. Eppure, il più delle volte quello stesso popolo sembra preferire il silenzio all’azione, consegnando, dunque, volontariamente quel potere nelle mani di chi dei suoi bisogni non se ne cura affatto. Cosa che, innegabilmente, è accaduta pochi giorni fa. Ne converrete con me che, alla luce di quanto avvenuto, d’ora in avanti nessuno di noi potrà più permettersi il lusso di lamentarsi per la situazione in cui versiamo?
Il caso del 2022: le elezioni di Giorgia Meloni non ci hanno insegnato nulla?
Già nel 2022, il governo attuale – guidato da Giorgia Meloni – è salito al potere con il consenso di meno della metà degli italiani aventi diritto. Allora, poco più del 50% degli elettori si è recato alle urne. Oggi, i dati sono ancora più tragici. Un Paese che non vota è un Paese che abdica alla propria sovranità. È un popolo che rinuncia a essere tale.
Non c’entra solo la politica, qui si tratta di educazione civica, di rispetto per le istituzioni, per la storia, per chi ci ha preceduti. C’è chi ha dato la vita per permetterci di esprimere una preferenza. E noi, oggi, ce ne dimentichiamo. Sì, l’educazione civica è tornata nelle scuole. Ma a cosa serve un’ora settimanale, se non si insegna davvero il significato profondo della cittadinanza attiva? Se non si trasmette l’urgenza di esserci, di contare, di scegliere?
Il voto non è solo una croce su un simbolo. È un atto di responsabilità. È un gesto di fiducia. È la voce con cui diciamo “io ci sono”. Quest’oggi, troppi italiani hanno scelto di non esserci e il risultato non può che essere uno solo: oggi ha perso la democrazia. L’Italia merita di più. Merita cittadini più consapevoli. Merita partecipazione, non indifferenza. Merita rispetto. Perché senza il voto, senza la voce del popolo, una democrazia non è altro che un’illusione.
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