I social network hanno trasformato la comunicazione nei vari settori, compreso quello culturale, un ambito che deve, necessariamente, essere aperto a tutti, prescindendo dalla classe sociale, dal reddito o dal genere sessuale. In una parola, deve essere il più inclusivo possibile. La cultura, in effetti, è ricerca di bellezza in ogni sua forma e con caratteristiche sempre diverse, ciascuna delle quali è unica nel suo genere. Quando mi soffermo sul concetto di bellezza, poi, non può che tornarmi alla mente la figura di Cristiano Leone, un filologo romanzo alla ricerca costante della bellezza in ogni suo progetto performativo, alcuni dei quali strettamente legati al patrimonio artistico e culturale del nostro fantastico Paese.
La bellezza è una forma di genio. Anzi, è più alta del genio, perché non richiede spiegazioni. E’ uno dei grandi fatti del mondo, come la luce del Sole, la primavera o il riflesso in un’acqua cupa di quella conchiglia d’argento che chiamiamo Luna. Non può essere messa in discussione e possiede un suo diritto divino di sovranità: rende dei re quelli che la possiedono
Così scriveva Oscar Wilde in proposito, e chissà, magari aveva davvero ragione!
La ricetta di Cristiano Leone
Valorizzazione del passato e creatività contemporanea sono cardini fondamentali per la divulgazione delle arti al giorno d’oggi. La ricetta di Cristiano Leone è sicuramente fatta di questo, ma anche di studio, ricerca, innovazione e convivialità. Difatti, egli ha lavorato presso alcune delle principali università europee, alternandosi tra Francia, Belgio e Italia (Università della Sorbona, Bocconi e Luiss per citarne tre), e ha tenuto conferenze in Europa, Stati Uniti, America Latina e Medio Oriente.

Autore di numerosi libri e creatore di grandi manifestazioni artistiche, festival e mostre per importanti istituzioni nazionali e non, specialmente in Francia e in Italia, di recente è stato nominato Presidente della Fondazione Santa Maria della Scala, l’imponente complesso museale di Siena, ed è sbarcato sulle piattaforme digitali in qualità di content creator riscuotendo migliaia di visualizzazioni. Per questo, abbiamo deciso di raggiungerlo e di porgli delle domande, con l’intento di poter dialogare sulla sua concezione di “divulgazione delle arti”.
Come si concilia la diffusione della cultura «alta» con quella «popolare»?
La cultura, se è cultura, è una sola. La sua pluralità è data dalla moltitudine di persone che la incarnano. Ed è per questo che essa ci appare poliedrica, e in un certo senso – almeno nella sua forma esteriore – lo è, ma la sua essenza, lo ripeto, è una sola e coincide con l’essenza stessa dell’umanità. Perciò, tutto concorre alla sua rappresentazione.
Per ‘rappresentazione’ intende divulgazione?
La divulgazione non è che una delle modalità attraverso cui la cultura si manifesta, ed è certamente un elemento fondamentale nel mio lavoro. I social media sono sicuramente uno strumento dal potenziale eccezionale per avvicinare nuovi appassionati al mondo della cultura performativa e al contempo offrire approfondimenti di qualità a chi già ha confidenza con la materia.
Il suo interesse per i social è recente?
Oggi i social sono in una nuova fase dopo il grande calo dei tassi di coinvolgimento degli ultimi anni (Instagram, ad esempio, è passato dall’1.22 allo 0.47% tra il 2019 e il 2022, secondo Rival IQ), senza contare la maggiore consapevolezza sui rischi legati al loro utilizzo eccessivo e l’affermazione di nuove piattaforme come TikTok. Paradossalmente, nonostante nuove criticità, la fase che stiamo vivendo oggi rappresenta un’opportunità per realizzare contenuti di maggiore qualità. Finita l’era dei selfie, si possono utilizzare queste piattaforme con strategie di contenuti più adatte all’approfondimento di alcuni argomenti che, nel mio caso, partono dalla cultura performativa e toccano temi di interesse collettivo, come l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale, la spiritualità nell’arte e la porosità della creazione contemporanea, che sempre di più tende a sfuggire a ogni tentativo di catalogazione.
Di qui, il vantaggio di poter sfruttare una comunicazione rapidissima…
Certo, ma oltre che molto rapida, anche flessibile e adattabile a contenuti continuamente mutevoli. Per questo, nel 2024 ho avviato un percorso per integrare all’interno della mia dimensione pedagogica forme più dinamiche di condivisione, con l’obiettivo di creare una comunità di appassionati attorno ai miei canali di comunicazione.
In che modo?
Ogni mese sul mio profilo Instagram pubblico video di approfondimento sull’impatto culturale tanto di alcuni tra i più emblematici artisti del mondo performativo che di artisti emergenti, e insieme viaggiamo tra i festival più spettacolari al mondo, ed esploriamo i temi di attualità che maggiormente mi permettono di esaminare l’evoluzione della “performance” nel mondo di oggi, cercando di prevederne le traiettorie nel futuro.
Su quali piattaforme avviene tutto ciò?
Questo lavoro è presentato integralmente nel mio nuovo sito internet (cristianoleone.art), ed è diffuso attraverso una newsletter mensile con consigli su mostre, performance e aggiornamenti sulle mie prossime iniziative. Sono presente principalmente su Instagram, ma anche su Facebook, LinkedIn e YouTube, e da poco anche su TikTok.

Secondo lei anche i suoi colleghi dovrebbero seguire le sue orme?
Innanzitutto, io sono solo un neofita dei social media, non oserei mai definirmi un modello e in più non mi interessa affatto dare consigli a chi non li richiede. Posso solo dire che per me la presenza sui social media non è solo utile, ma necessaria se consideriamo la sempre maggiore distanza che viene percepita tra l’arte, soprattutto nelle sue forme meno immediate, e un mondo sempre più ostile, superficiale e dedito all’ostentazione. La cultura performativa si definisce tale proprio in funzione del suo aspetto sociale, condiviso e privo di barriere tra chi realizza l’arte e chi ne fruisce e, interagendo con essa, ne definisce il suo senso assoluto. Amo ricordare che una performance è sempre una co-creazione tra l’artista e il suo pubblico.
Ci vuole raccontare un contenuto social di cui è fiero?
Ho molto amato raccontare in un reel una performance del 1973 di Gina Pane: «Azione sentimentale». Nel video racconto come il corpo stesso di Pane diventi il riflesso della società, del modo in cui viene ferito e sottoposto a varie “prove”. L’artista, infatti, utilizza un rasoio per sfregiare il suo viso, proprio come i canoni estetici della società deturpano l’anima, proponendo una bellezza irraggiungibile. In «Azione sentimentale», Pane indossa abiti bianchi, rievocando così il colore dell’abito delle vestali e delle spose cattoliche. Il suo pubblico è composto di sole donne. Nella performance, l’artista si conficca nel braccio una spina alla volta, imbrattando anche le sue vesti, e sostituisce le rose, inizialmente rosse, con delle rose bianche. Una denuncia dell’imposizione dei ruoli sociali imposti alle donne dalla morale cristiana. Le gocce di sangue sugli abiti sono proprio le antiche tracce della sofferenza subita dalla figura femminile.
Per rimanere aggiornato sulle ultime opinioni, seguici su: il nostro sito, Instagram, Facebook e LinkedIn