Pino Strabioli, un punto di riferimento per la divulgazione culturale italiana: “Serve un nuovo linguaggio che educhi all’approfondimento”

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Pino Strabioli
Credit photo: Eleonora Ferretti

Pino Strabioli è senza ombra di dubbio una figura eclettica e poliedrica nel panorama culturale italiano, capace di utilizzare (e far proprie), con eleganza e competenza, diverse forme d’espressione artistica e di intrattenimento per comunicare con il suo pubblico. Noto attore, regista teatrale e conduttore televisivo, si è sempre contraddistinto per la sua raffinata capacità di raccontare la cultura con leggerezza pur non scandendo mai nella banalità e nella superficialità. E forse è proprio per questo, unitamente ad un profondo rispetto per la tradizione artistica, che è riuscito a consacrarsi come un punto di riferimento per chi cerca contenuti di qualità, lontani dalle logiche del mero intrattenimento di massa.

Basti pensare alle collaborazioni con grandi nomi come Paolo Poli, Franca Valeri e Alda Merini, con cui ha portato in scena spettacoli del calibro di Lezioni d’amore, Sempre fiori mai un fioraio e I viaggi di Gulliver. Oppure, alle trasmissioni televisive che ha condotto con garbo e classe, tra cui ricordiamo Cominciamo Bene Prima (Rai3), E lasciatemi divertire (Rai5), Colpo di scena (Rai3) e così via. O ancora, ai racconti radiofonici della vita di quegli artisti che hanno reso grande l’Italia. E infine, alle svariate pubblicazione nonostante, per sua stessa ammissione, la scrittura sia il campo in cui è stato meno prolifico.

Insomma, la sua carriera non è soltanto una testimonianza dell’importanza di mantenere viva la memoria culturale nostrana, valorizzando le storie e i personaggi del passato attraverso uno sguardo moderno e autentico, ma anche (e soprattutto) della necessità di sviluppare nuovi linguaggi comunicativi, che siano al passo con i tempi e non sopraffatti da essi. Non a caso, nel corso di un’intervista risalente a qualche anno fa, egli stesso disse:

Ci vuole una nuova cultura della tv: basta programmi fotocopia, servono educazione alla complessità e responsabilità

Pino Strabioli – L’intervista

Credit photo: Eleonora Ferretti/ Foto per gentile concessione dell’Ufficio Stampa

Buongiorno Pino e benvenuto su L’Opinione.com. Attore di teatro, regista e conduttore tv, nel corso degli anni sono tanti i ruoli che ha ricoperto e i progetti dei quali è stato protagonista. Alla luce della sua lunga e variegata carriera, qual è il palcoscenico sul quale si è sempre sentito maggiormente a suo agio, che le ha permesso (e magari le permette tutt’ora) di mettere pienamente a frutto il suo talento e la sua creatività, quello teatrale o quello televisivo?

Sicuramente quello teatrale perché, essendo uno spazio sospeso, ti permette di fare i conti con te stesso e con il pubblico. Implica una maggiore responsabilità, dal momento che coloro che vengono ad assistere ai tuoi spettacoli hanno scelto di essere lì, e ti assicura una libertà che altrove non trovi. D’altronde, il teatro riesce ad evocare, a provocare, ad annoiare, a divertire e ad emozionare, e ti permette di instaurare una relazione diretta con gli spettatori, cogliendo anche le loro reazioni. Per quel che mi riguarda, il teatro è lo strumento che mi permette di raggiungere la mia massima espressione artistica, nella maniera più diretta possibile, e che mi consente di fare, seppur nel mio piccolo, qualcosa che mi da grande soddisfazione.

Lo scorso luglio ha condotto il “Premio Strega” al fianco di Geppi Gucciari, esattamente ad un anno di distanza dalle pesanti gaffe dell’allora Ministro della Cultura Sangiuliano. A detta di molti, l’Italia a livello culturale vive al momento una fase di decadimento e impoverimento, complice l’inadeguatezza di chi rappresenta istituzionalmente il settore. Lei cosa ne pensa a riguardo?

Innanzitutto, mi preme sottolineare di essermi davvero divertito nel prender parte alla conduzione del ‘Premio Strega’ al fianco di Geppi. Al di là del talento, è una donna intelligente e preparata, di un’ironia che non è alla portata di tutti. Mi è piaciuto molto lavorare con lei soprattutto perché, perfino in questo tipo di eventi, si recupera in un certo senso il linguaggio teatrale. Non per difendere il mio “posticino” in Rai, ma preferisco non cadere nel giochino tanto caro al politichese della continua ricerca dei colpevoli. L’Italia vive da anni una fase di decadimento culturale, un impoverimento frutto di anni di disattenzione nei confronti di un serio progetto culturale e di cui soltanto oggi vediamo pienamente gli effetti. Credo fermamente che la cultura siamo noi, ogni gesto e ogni parola lo sono. Se non recuperiamo un’educazione al gesto e alla parola, non ne usciremo!

Perché, secondo lei, oggigiorno si preferisce investire in altro piuttosto che sulla cultura, perlomeno nel nostro Paese?

Forse perché pensiamo possa bastare quello che ci ha lasciato la Storia. Ci sono stati Dante, Michelangelo e altri come loro, e noi li lasciamo lì nemmeno fossero pezzi d’antiquariato in esposizione, dando vita alla nostra Italia-museo perché, in fondo, è sufficiente ciò che loro hanno fatto. Ne facciamo un vanto, e per carità lo sono, ma al giorno d’oggi non siamo neanche in grado di riconoscerli per quel che sono e di insegnarli nella maniera più adeguata. Viviamo di rendita e al tempo stesso di rimozione. Anni fa, conducevo un programma in cui facevamo degli speciali dedicati a grandi personalità del passato come Dario Fo o Gigi Proietti, in cui ne ripercorrevamo la vita e il talento. Non solo questo non viene più fatto, ma non lo si fa nemmeno con i giovani talenti dai quali siamo circondati e a cui non diamo spazio.

Sempre nel mese di luglio, ha ricevuto un premio, consegnatole da Antonio Ricci, nel corso della XVIII edizione del “Premio Alassio” per l’informazione culturale, un tipo di divulgazione che negli ultimi anni pare suscitare sempre meno interesse e ricevere sempre meno spazio, almeno in televisione. Non sarebbe bello avere una diffusione che sia più capillare?

Per prima cosa non posso non ringraziare Alassio e Antonio Ricci, mi ha fatto molto piacere ricevere la loro chiamata e il riconoscimento che mi è stato attribuito. Tornando alla domanda, invece, per ricordare quello ci insegnava Paolo Poli, in Italia non siamo in grado di mischiare i linguaggi e la narrazione. Siamo abituati a pensare che la divulgazione culturale sia qualcosa di noioso e basta. Al contrario, esistono forme di comunicazione funzionali e possibili per veicolare certi messaggi ad una platea sempre più ampia, cosa a cui il servizio pubblico dovrebbe ricorrere, ma semplicemente non li usiamo e rischiamo di perderli. Ormai, i contenitori non sono altro che minestroni di roba: si passa da una ricetta all’accenno di un libro, da un balletto ad una mostra, e si finisce per non focalizzarsi su nulla.

Non c’è più un vero e proprio progetto culturale sotto questo punto di vista. La maggior parte sembra pensare unicamente allo share e agli ascolti, ed è qui che io mi pongo una domanda: perché, perfino quando ci accorgiamo che alcuni programmi, dei quali potremmo tranquillamente fare a meno, generano numeri ridicoli, non produciamo format validi e facciamo divulgazione in modo sensato? Mi viene in mente il caso, di cui tanto si è parlato, di Alberto Angela e Temptation Island, è giusto che ci sia una diversificazione che vada incontro ai gusti delle varie fasce di spettatori, ma perché se qualcosa non va, non si prova a puntare su altro o su un nuovo metodo di comunicazione?

Quello dell’informazione è un altro campo che di recente, e in più di un’occasione, è finito al centro di una diatriba tra chi, dell’informazione, se ne fa portavoce (giornalisti, intellettuali, professionisti, ecc.) e il Governo. A livello professionale, ma anche umano, si sente rappresentato dall’attuale Esecutivo?

Beh, occupandomi io di cultura ed essendo quest’ultima forse poco considerata attualmente, non subisco censure sotto questo punto di vista (ride). Anche qui, trovo che bisognerebbe un minimo rivedere il linguaggio e la comunicazione. Banalmente, sembra sparito l’approfondimento. Ogni cosa viene consumata non con un confronto, ma al pari di un gossip, una lita o una battuta. Quando guardo Sigfrido Ranucci, ad esempio, rimango lì, lo seguo, capisco il suo linguaggio e quello che vuole comunicare. In altre parole, c’è una visione critica. Al contrario, quando mi ritrovo ad assistere a dibattiti in cui gli uni parlano sugli altri, si sovrappongono e litigano, per giunta alle volte in maniera pesante, mi innervosisco e vado in confusione. Una confusione che, a mio avviso, contamina la crescita e l’evoluzione delle nuove generazioni perché rischiamo di promuoverla e legittimarla, insieme ai metodi con cui essa si genera.

Al momento è impegnato nella conduzione de “Il Caffè”, format dedicato ai libri, alla scrittura e più in generale a tutto ciò che si lega al mondo letterario e dell’editoria. Qual è il messaggio che, più di ogni altro, vorrebbe che i suoi telespettatori recepissero?

La stessa cosa che mi dicono le persone che mi seguono: ‘Quando lei parla, la capisco’. Se non lavoriamo con e su noi stessi, ma andiamo avanti soltanto a slogan, non arriveremo mai da nessuna parte. Vorrei incuriosirle le persone. La mia non è una televisione colta o diffusione di una ‘cultura snob’ da radical chic, anzi, ho ospitato anche personaggi pop come Luca Argentero e cerco di avvicinarmi a qualsiasi telespettatore. Semplicemente, mi piacerebbe che chi mi segue riuscisse a comprendere la vastità e l’apertura che la cultura può regalarci, la maggiore libertà che questa ci conferisce andando a fondo nelle cose e non soffermandosi al classico pregiudizio da copertina. E in molte occasioni questo messaggio arriva, tant’è che quando nomi dello spettacolo e della cultura, siano essi grandi o piccoli, scelgono il mio format, io mi sento ampiamente ripagato!

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Simone Di Matteo, Latina 25 gennaio 1984. Curatore della DiamonD EditricE, autore, scrittore e illustratore grafico è tra i più giovani editori italiani. I suoi racconti sono presenti in diverse antologie. Molti dei suoi libri invece sono distribuiti all'interno degli istituti scolastici italiani. È noto al grande pubblico non solo esclusivamente per la sua variegata produzione letteraria, ma anche per la sua partecipazione nel 2016 alla V edizione del reality on the road di Rai2 Pechino Express. Consacratosi come Il giustiziere dei Vip, da circa due anni grazie a L’Irriverente, personaggio da lui ideato e suo personale pseudonimo, commenta il mondo della televisione, dei social network e i personaggi che lo popolano, senza alcun timore, con quel pizzico di spietatezza che non guasta mai attraverso le sue rubriche settimanali.

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