Elena la più bella donna del mondo, la più famosa, la più amata, ma anche la più odiata, fu sempre sotto la protezione di Afrodite e la sua bellezza causò una guerra che produsse infiniti lutti e rovine. Una storia che in molti conoscono e che è stata tramandata nel corso dei secoli. Tuttavia, in quanti si sono realmente soffermati a riflettere sui dettagli di questo amore-odio, che provocò perfino numerose morti e la distruzione di un’intera civiltà?
La storia di Elena
Non appena Elena raggiunse l’età per sposarsi, tra i principi della Grecia si accese una forte diatriba. Tutti la volevano e facevano persino a gara offrendo doni a suo padre. Ulisse, re di Itaca, rinunciò subito alla contesa poiché aveva valutato di non essere abbastanza ricco per poter competere con gli altri, pur recandosi con loro al palazzo di Tindaro, padre di Elena. Là vi erano Diomede, Aiace, Teucro, Filottete, Patroclo, Idomeneo e Menelao.
Il saggio Ulisse consigliò al padre della ragazza di impegnare tutti in un solenne giuramento: quale che fosse stata la scelta, ognuno giurava di venire in aiuto allo sposo qualora gli fosse stata arrecata offesa. Tindaro seguì il consiglio e per riconoscenza verso Ulisse gli combinò il matrimonio con Penelope, figlia di Icario. Elena decise di prendere come sposo Menelao, che era il re di Sparta e così convolarono a nozze. Ella fu regina e madre apparentemente felice. Lui ne era molto innamorato, ed avendo essa grande disponibilità di ricchezza, potevano condurre insieme una vita sontuosa.
I capricci degli dei
Una volta si diceva che la felicità durava finché il diavolo non ci metteva la coda. In questo caso, ancora una volta, la sorte fortunata dei mortali fu modificata dall’intervento capriccioso degli dèi. Successe che la dea Discordia, nel corso di un banchetto per le nozze di Teti con Peleo, volendosi vendicare per non essere stata invitata, fece rotolare sulla tavola una mela d’oro su cui era scritta la frase:
La prenda la più bella
Le tre dee più importanti dell’Olimpo, Era, Atena e Afrodite, pretesero di averla. Zeus, non volendo inimicarsi nessuna delle tre, decise che l’arbitro sarebbe stato un mortale, ovvero Paride. Figlio di Ecuba e di Priamo, era stato allontanato dalla reggia di Troia il giorno della sua nascita, per un sogno premonitore della madre secondo cui quel futuro principe avrebbe apportato lutti e rovina per tutti. Così, fu affidato a un pastore perché lo portasse a morire sui monti sperduti. Naturalmente l’uomo lo tenne presso di sé e lo crebbe come un padre. Il giovane divenne adulto, forte e deciso, in grado di superare qualunque altro coetaneo per bellezza e audacia. E fu per questo che Zeus lo notò.
Il ruolo di Paride
Quando fu comunicata a Paride la decisione del Padre degli dei, egli rimase sgomento avendo intuito che quel giudizio avrebbe invariabilmente creato rancori in due delle tre più potenti dee. Costretto ad esprimere quel giudizio, l’uomo impetrò preventivamente la clemenza delle dee ma queste erano accecate dall’ambizione di fregiarsi del titolo della “più bella” e ognuna di loro promise ricompense nel caso di giudizio favorevole: Era promise potenza e ricchezza, Atena saggezza e la vittoria in battaglia, Afrodite la conquista del cuore di Elena e i suoi favori erotici.
Paride giudicò che la più bella era Afrodite. Le terribili conseguenze di quel verdetto non furono immediate. Difatti, si recò a Troia per partecipare a giochi e gare in cui competeva la migliore e più nobile gioventù. Primeggiò in tutte le gare, umiliando i rampolli della nobiltà e attorno a lui si condensarono feroci rancori, e stava per essere ucciso se il pastore che lo aveva allevato non avesse rivelato a Priamo la vera identità di quel giovane. Fu così che Paride recuperò quello che per nascita gli spettava. Andò ad abitare nella reggia con tutti gli onori, anche se i sacerdoti erano perplessi circa la bontà di quella scelta.
Ormai principe, si ricordò della promessa di Afrodite e, accecato dalla bramosia erotica, convinse il padre a farsi mandare con una flotta e ricchi doni in ambasciata a Sparta presso Menelao. Con la deprecazione di Cassandra ed Eleno, anch’essi figli di Priamo, Paride si avviò verso il suo periglioso futuro, lasciandosi alle spalle i ricordi della sua vita di pastore. Arrivato a Sparta lo accolsero con grandi onori. Abbagliò Elena con la propria bellezza, con i modi gentili e con i ricchi doni che aveva con sé, e, a sua volta, fu profondamente colpito da quella donna innamorandosene all’istante.
L’amore per Elena e la conseguente guerra
Menelao affidò alla moglie il compito di onorare l’ospite e quest’ultimo la convinse Elena a fuggire con lui alla volta di Troia. Ivi arrivati, si celebrarono le nozze tra i due amanti fuggiaschi, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. I troiani, affascinati dalla bellezza della sposa, giurarono che non l’avrebbero mai più lasciata partire. Quando Menelao tornò in patria e seppe del rapimento di Elena, andò a Micene, dove regnava Agamennone, suo fratello, e gli chiese di radunare i principi della Grecia che avevano giurato nel giorno in cui si decise il matrimonio di Elena.
Iniziò una terribile serie di tragici avvenimenti. Dopo nove anni di cruente lotte, la guerra nel decimo anno si concluse, grazie all’ingegno di Ulisse. La città andò incontro alla distruzione, le sue ricchezze divennero preda dei vincitori, le principesse troiane si ritrovarono ad essere schiave tra i principi greci. Sul campo desolato della pianura di Troia restarono le tombe di tanti eroi: Achille, Patroclo, Ettore, Antiloco, Memnone, Aiace e lo stesso Paride, che pagò le sue colpe. Nei pochi sopravvissuti troiani restarono solo i ricordi degli orrori che avevano visto e sopportato. Elena, l’artefice della morte prematura di tanti eroi, torna al fianco di Menelao e non sappiamo con che animo rientrò a Sparta.
L’impulsività delle infatuazioni: le differenze tra cultura orientale e occidentale
Quando l’impulsività delle infatuazioni, a cui spesso si da il nome di innamoramento o amore, si manifesta, accade che tutto si ritorce contro coloro che seguono il detto di seguire il cuore. Elena è il Thanatos che insegue l’eros e riesce per un periodo a sottometterlo alla sua forza impulsiva, la quale non arretra davanti ai possibili pericoli. Probabilmente, ha seguito la voce del cuore, senza però analizzare i possibili rischi che le decisioni avventate possono causare. Il mito di Elena rappresenta la cultura occidentale che, al contrario di quella orientale, divide le questioni di cuore con le “cose” della mente.
La parola giapponese che racchiude sia il significato di “mente” che di “cuore” è Kokoro (心). Nella cultura occidentale cuore e mente sono elementi separati. Il cuore indica la sede delle emozioni e dell’amore, invece la mente è la sede della razionalità e dell’intelligenza. Kokoro per l’uomo orientale è, invece, un insieme inscindibile: cuore e mente non possono essere divisi, ogni decisione che prendiamo, anche se razionale, deve essere appoggiata dal cuore, dalla coscienza e dalle emozioni che questa scelta ci porta.
Lo stesso discorso vale per il cuore: se ci lasciamo trasportare dalle emozioni senza tenere conto delle ripercussioni che quella scelta avrà per la nostra sfera razionale, vivremo comunque una divisione, ed è il caso di Elena, che alla fine si ritroverà costretta a ritornare da Menelao. E se invece avesse usato la ragione ed il cuore? Sicuramente avrebbe ponderato la situazione e agito con l’aiuto del ragionamento, avrebbe escogitato come andare via da Menelao.
Se cuore e mente non collaborano, viviamo nel malessere: Kokoro no Tenkan e Aikido
Quando cuore e mente non collaborano e non vivono in armonia, viviamo un malessere, che spesso può trasformarsi in disturbo psico-fisico, ecco perchè il Kokoro ha una stretta correlazione col benessere inteso nella sua accezione più ampia. Il “Kokoro no Tenkan” (“conversione del cuore e della mente”) mira a raggiungere questa perfetta armonia racchiusa in questa splendida parola. Ma come si raggiunge questa armonia, come possono mente e cuore essere concordi e farci raggiungere una pace interiore e un benessere esteriore?
Si può raggiungere coltivando la relazione con il Sè, depurando il proprio cuore, svuotando la mente e danzando con il proprio corpo. Ecco che tale disciplina diventa ciò che originariamente la vera essenza di un’altra nobile disciplina orientale: l’Aikido.
I tre livelli da raggiungere
Si tratta di una disciplina olistica, cioè qualcosa che tocca ogni aspetto dell’essere, ogni componente che costituisce un’individualità; la pratica porta, infatti, ogni praticante al raggiungimento progressivo di tre livelli fondamentali:
- Fisico: È il primo obiettivo e corrisponde all’acquisizione di una conoscenza approfondita delle tecniche. Inoltre, è il saper padroneggiare il proprio corpo, così da muoversi con disinvoltura e sicurezza.
- Mentale: È il livello per cui l’esecuzione delle tecniche, guidate dal principio di non-violenza, diventa più fluida ed armonica e non vi sono più pause o momenti di interruzione dell’azione. Si dirige l’energia dell’avversario in modo continuativo, facendola scorrere nella direzione più appropriata.
- Spirituale: È la meta più alta a cui può arrivare il praticante, che vi giunge solo dopo un percorso significativo, frutto di un continuo esercizio. Esso rappresenta il culmine della realizzazione dei principi dell’Aikidō, in quanto viene a consolidarsi la completa unione fisica, mentale e soprattutto spirituale tra tori e uke. Il corpo, già educato ai movimenti della corretta esecuzione della tecnica, ai principi mentali di non-competitività e non-violenza, se soprattutto in completa sintonia con quella dell’avversario, lasciano posto allo spirito, che può agire liberamente.
Equilibrio
Benché possa essere inteso come forma scientifica di difesa personale, l’Aikidō è soprattutto un metodo per sviluppare armoniosamente il sistema di coordinamento fra corpo, mente, emotività e spirito. Si tratta di un allenamento fisico orientato verso un fine più profondo e completo. Secondo la filosofia del Fondatore, la violenza ed il desiderio di vincere o di uccidere pone l’aggressore automaticamente fuori dall’armonia dell’universo. Quest’ultimo non è comunque esente da fenomeni estremi, umanamente violenti, ma che nel loro meccanismo garantiscono continuità ed è compito di chi ha ben inteso questo principio (l’Aikidoka) testimoniarlo con le proprie azioni.
Elena come archetipo delle donne contemporanee
Ci si allontana così “dall’uomo”, inteso in senso materiale, per esaltare “l’Uomo” in senso spirituale, quale essere che tende al raggiungimento della completezza, rinnegando la violenza gratuita come mezzo per la scalata sociale e accettando con umiltà di correggere i propri errori. Sviluppando il senso dell’autocritica, è possibile migliorare sé stessi, attraverso un lavoro costante e paziente.
Ma possiamo immaginare Elena che pratica l’Aikido? Probabilmente no. Ciò nonostante, lo possono praticare tutte le Elena del mondo contemporaneo, che spesso presi da una irrefrenabile voglia di fuga si ritrovano nello stesso luogo… E allora bisognerebbe educare ai sentimenti in armonia con la ragione partendo dal corpo, che a volte è il primo rivelatore di ciò che si vuole tenere legato nella profondità del proprio essere.
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