Il tema degli studenti stranieri discriminati rappresenta un’urgenza nazionale. Quasi uno studente su otto in Italia non ha la cittadinanza; oltre tre su cinque tra loro sono nati qui. In Lombardia parliamo di circa 215mila ragazze e ragazzi (circa il 20% degli iscritti). Nei dati emergono ritardi scolastici, consigli di orientamento al ribasso, segregazione (white flight) e persino una “discriminazione soft” che si nasconde dietro lo scherzo, la “presa in giro”. Occorre approfondire questo disagio di sistema e attivare le migliori energie per invertire la tendenza.
La presenza di tanti bambini e ragazzi di origine straniera è un patrimonio fondamentale. Va contrastata la segregazione formativa e ogni forma di xenofobia e razzismo — Raffaela Milano, Save the Children.
La fotografia ci consegna uno scenario che ha bisogno di attenzione
In poco più di vent’anni la quota di studenti stranieri, senza cittadinanza, è quadruplicata (era ~3% nel 2002/03), nel 2024/25, è circa 1 su 8, sebbene più di tre su cinque siano nati in Italia. Basti pensare, inoltre, che in Lombardia tornano a scuola circa 215mila studenti senza cittadinanza (≈20% del totale regionale), con numeri in crescita nonostante l’“inverno demografico”. Ma in che modo vengono discriminati quegli studenti che non fanno altro se non arricchire la diversità culturale che caratterizza il nostro Paese?
Come vengono discriminati gli studenti stranieri?
Le ricerche raccolgono testimonianze di consigli “prudenziali” che raffreddano la scelta dei licei per chi ha background migratorio. Segnalano l’uso dell’umorismo su accenti e origini come pratica relazionale: spesso percepito come “goliardia”, in realtà l’umorismo può trasformarsi in discriminazione “soft” che incide su autostima e aspettative dello studente. Sullo sfondo, forme di segregazione come la white flight (spostamento di famiglie italiane da scuole con alta presenza di stranieri), coerentemente con una stratificazione della società in classi (di reddito).
Gli effetti misurabili
Gli alunni con trascorso migratorio presentano:
- ritardo scolastico 26,4% (contro 7,9% dei coetanei italiani);
- bocciature: prima generazione 17,8%, seconda 11,5%;
- dispersione implicita 22,5% nella prima generazione;
- oltre un quarto non completa le superiori;
- solo il 3,9% si iscrive all’università.
Sullo sfondo pesa anche la povertà assoluta: 41,4% tra le famiglie con minori e entrambi i genitori senza cittadinanza italiana.
Cosa fare (tre mosse concrete)
- Formazione dei docenti su bias e cattivo uso dell’umorismo.
- Anti-segregazione: monitoraggio pubblico della composizione delle classi, sostegni perequativi alle scuole ad alta complessità e progetti whole-school per prevenire la white flight.
- Diritti al successo formativo: italiano L2 intensivo e rafforzamento nel biennio, tutoraggio tra pari, micro-borse per libri e trasporti, ponte verso l’università (alzare quel 3,9%).
Che cosa intendiamo per “studenti stranieri discriminati”?
Entriamo in una seconda media qualunque. Stesse verifiche, stesse medie. Alla fine del trimestre, però, a Samir si suggerisce “un tecnico, poi vediamo”; a Giulia “prova il liceo, hai stoffa”. Nessuno ha urlato, nessuna regola è stata violata. Eppure, a parità di merito, le strade si separano. Ecco cosa chiamiamo discriminazione qui: non solo l’atto esplicito, ma quell’insieme di decisioni “prudenziali”, routine burocratiche e micro-messaggi (anche sotto forma di battute) che producono risultati peggiori per alcuni. È il profilo tipico di una disuguaglianza senza clamore, che si accumula scelta dopo scelta.
Se allarghiamo lo sguardo oltre la porta dell’aula, l’UNAR (l’organismo pubblico per l’uguaglianza) fotografa il contesto: nel 2023 ha contato 1.978 episodi di discriminazione; sette su dieci li ha intercettati monitorando media e web (1.410 casi), meno di tre su dieci sono segnalazioni dirette (568). Tradotto: molta discriminazione non viene denunciata, si vede solo quando fa rumore. Quasi la metà dei casi complessivi ha matrice etnico-razziale (47,9%); e quando l’odio diventa parola, l’hate speech corre soprattutto online (nel 2023 l’UNAR ne ha mappati 437 episodi, 71,6% in ambienti digitali). Anche questo è scuola: perché quei discorsi rimbalzano negli smartphone degli studenti prima ancora che in classe. (Per inciso: se serve aiuto o mediazione, il numero verde è 800 90 10 10).
In mezzo ci siamo noi, con le nostre pratiche. Una gita all’estero che salta perché nessuno aiuta a districare documenti e visti; una classe “parcheggio” dove si concentrano bisogni linguistici senza rinforzi. Non occorre cattiva intenzione: basta assenza di standard e di tutela attiva. Il risultato è quell’effetto valanga che gli studi chiamano Pigmalione (le aspettative al ribasso si auto-avverano) e minaccia dello stereotipo (rendi peggio per paura di confermare l’etichetta). Se poi ricordiamo che una fetta non piccola della platea vive svantaggi materiali e status giuridici fragili, capiamo perché una raccomandazione “prudente” a 13 anni pesi come un macigno a 23.
Per questo la misura della discriminazione non è quante scuse riusciamo a raccontarci, ma come cambiano gli indicatori: salgono o scendono i passaggi ai licei a parità di voti? Si riduce il ritardo scolastico? Calano le ripetenze e la dispersione implicita tra i ragazzi senza cittadinanza? Diminuiscono gli episodi UNAR riconducibili alla sfera educativa e l’hate speech che li circonda? Se la risposta è no, allora non stiamo “convivendo” con il problema: lo stiamo riproducendo. E, in definitiva, non è solo un giudizio sulla scuola: è un giudizio sul Paese che vogliamo essere.
Cosa potrebbe fare la Politica per prevenire che gli studenti stranieri vengano discriminati?
Cittadinanza: semplificazione vera per chi cresce qui (notifica automatica a 18 anni, pratiche proattive dei Comuni; corsia veloce per apolidi e minori affidati). Ufficio nazionale per l’equità scolastica con potere ispettivo e mediazione rapida su discriminazioni “soft”.
Fonti: Dati Unar, ISTAT, articolo de Il Giorno (Lombardia: 215mila; orientamento, “umorismo” come discriminazione soft); articolo de Vatican News su rapporto Save the Children (quadri nazionali, indicatori di ritardo/dispersione/immatricolazioni, povertà).
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