Giornata Internazionale della Visibilità Transgender: sì, ci sono anche io!

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Giornata Internazionale della visibilità Transgender

Guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Un’immagine che non fa incontrare se stessi e che ci restituisce distanza. E come sempre la distanza porta con sé disagio. E dolore. Il dolore di chi non è in pace con tutte le parti che ci compongono. O di chi semplicemente non può se non vedersi in modo non binario.

L’unica persona che sei destinato a diventare è la persona che hai deciso di essere – Ralph Emerson

Le persone transgender conoscono bene questa sensazione di doppio, di chi non è pacificato con se stesso e vive di guerre silenziose, di chi si sente tradito da un corpo che non gli appartiene, da una identità che non corrisponde al proprio genere e di aver bisogno di essere uno quando la vita ti porta sul terreno scivoloso e precario del doppio; quella guerra interiore che è spesso resa devastante dal mondo esterno che ti guarda, ti giudica, non ti capisce, non ti vede, ti dipinge con pennelli di onta e vergogna, e, se ti va bene, con un manto di indifferenza alla tua esistenza, al diritto di essere e di avere diritti.

“Essere visibili e urlare… si ci sono anche io”: l’essenza della Giornata Internazionale della Visibilità Transgender

La Giornata Internazionale della Visibilità Transgender (TDOV) è una ricorrenza annuale che cade il 31 marzo dedicata alla celebrazione e sensibilizzazione contro le discriminazioni verso le persone transgender e non binarie in tutto il mondo. Dal 2014 la giornata è stata adottata dagli attivisti LGBT a livello internazionale. Una giornata che vede al centro la comunità trans, la sua visibilità e le sue voci, un momento di sensibilizzazione sui loro diritti e sulla violenza che spesso, troppo spesso, subiscono. Violenza che purtroppo ben conosciamo in Italia, il nostro è il primo Paese in Europa con la Turchia per numero di omicidi e crimini d’odio contro le persone transgender. 

E il valore di questa giornata è racchiuso nella parola visibilità, che ha una potentissima carica semantica molto più radicale della parola identità: la visibilità è un segno manifesto, stigma, che le persone transgender portano impresso sul proprio corpo, che spesso, troppo spesso le espone all’esclusione e anche alla violenza.

Credit: web

La storia

La giornata fu fondata dall’attivista transgender statunitense e co-fondatrice di Transgender Rachel Crandall nel 2009, evidenziando il fatto che non esistevano giornate specifiche per la visibilità della comunità transgender all’interno della comunità LGBTQIA+, dato che l’unica data dedicata era il Transgeder Day of Remembrance, che ricorda le vittime di odio transfobico ma non è specificamente indirizzata alla visibilità transgender.

Come tutte le ricorrenze è una giornata che focalizza su azioni e modelli comportamentali che devono far parte di una società che sia davvero delle culture delle differenze e che non si esaurisca al vapore evanescente se pur colorato di una giornata. Ogni giorno, in ogni circostanza le persone transgender devono poter vedere riconosciuti i loro successi e poter celebrare il senso della loro vita: la TDOV e’ un’opportunità per promuovere un messaggio di uguaglianza e di coesione del valore identitario di una persona fuori dalle logiche binarie, attraverso la condivisione di storie per sensibilizzare sulle esperienze, le difficoltà e i diritti delle persone transgender e non binarie.

Affermazione di genere e transizione di genere

Facciamo un po’ di chiarezza: affermazione di genere è un concetto diverso rispetto alla transizione di genere. Lo definirei termine “umbrella”: l’affermazione di genere è il processo di riconoscimento della propria identità di genere, con l’affermazione a livello personale e sociale. Insomma è un modo per vivere pienamente nel genere in cui ci si identifica.

La transizione di genere è un processo più radicale perché implica un percorso medico, una terapia ormonale, una possibile operazione chirurgica per la riassegnazione del sesso biologico, oltre ad un (lungo) iter legale per chiedere al tribunale un nome coincidente con il nuovo genere. 

Ma cosa significa davvero essere una persona transgender, io non lo so. Posso solo raccontarvi cosa ho provato avendo vissuto per qualche mese con Trystin.

La vita di Trystin

Un ragazzo timidissimo di 18 anni è arrivato nella mia famiglia: un’esperienza di studio a Roma dalla lontana Butternut, un paesino di 300 anime nel lontano Wisconsin, USA. Trystin all’anagrafe Sonia.

Immaginate cosa può significare essere un ragazzino transgender nell’America pre-trumpiana (ma già totalmente trumpiana) di un piccolo paesino nella pancia schiacciante della America, dove è difficilissimo essere quello che si è, figuriamoci voler essere un ragazzino, quando sei nato con un corpo da ragazza che ti fa soffrire. Cercate di figurarvi che cosa provava Trystin quando si faceva la doccia al buio perché non si voleva vedere, o quando mascherava il suo seno con fasce strettissime e improbabili pantaloni e maglie larghissime. Immaginate i suoi occhi pieni di paura e qualche volta di lacrime per i suoi capelli corti, il suo voler parlare con una voce più bassa per camuffare lineamenti femminili, aver paura di essere visto e giudicato e trattato male e rifiutato… prima ancora dell’orgoglio di essere visibile!

Ecco, ora immaginate di vedere il suo viso illuminarsi quando io gli ho chiesto in un inglese un po’ stentato: “Tu puoi riferirti a me con il pronome HER. Come vuoi che io mi rivolga a te?”. E nel suo HIS, timido e fermo, incredulo e pieno di gioia, aver capito che poteva essere se stesso…

Siamo tutti persone

E ora provate a vedere me, Trystin e Cloe, mia figlia di 14 anni (diventata la sua migliore amica), alla Pride Croisette a Roma, con arcobaleni dipinti sul volto, cappellini e voglia di ridere e divertirci e semplicemente prenderci per mano e fare festa. Cercate di vedere l’espressione di una persona che con un volto pieno di riconoscenza e di gioia ci ha detto che quella era la giornata più bella della sua vita.

Volevo che lui fosse un manifesto per fargli capire cosa significhi essere accolto per quello che è nei suoi passaggi. In realtà lui era solo Trystin non una persona transgender, e voleva essere solo trattato per una persona adolescente con tutto il suo mondo. Noi vogliamo che i nomi giusti si vedano per le lotte, lui ci ha insegnato ad essere visto solo per quello che è e non tanto per quello che può rappresentare per i valori per cui lotto. Il suo sorriso dolce, pieno e liberato non lo dimenticherò mai!

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Una laurea in filosofia, un lavoro nel mondo della comunicazione di una grande azienda e un tesserino dell'ordine dei Giornalisti. Ardente attivista per una società aperta alle culture delle differenze, founder DI ERG aziendali nella DEI, blogger di viaggi e non solo, viaggiatrice per scoprire culture mondi, luoghi e se stessa attraverso l'andare, scrive per dare corpo al suo essere e far fluire i pensieri. Sostenitrice e promotrice di un linguaggio ampio in cui ogni persona possa esistere, attrice di teatro e corti per essere nuove vite. Implacabile divoratrice di libri ed eventi culturali perché i confini della nostra esistenza sono i non limiti del nostro pensiero. Ama i colori dovunque e il calore intorno a sé . Per lei ciascuna impresa è attraversabile grazie al suo entusiasmo e vitalità. Vive di Sole, ma si nutre di crepuscoli. Ama le persone ma soprattutto la sorpresa inesauribile di quello che nasce ogni volta che si è in relazione con le persone. Adora sognare, progettare, costruire e, prima di ogni altra cosa, dar spazio dentro di sé all'ignoto e alla meraviglia.

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