Cinecittà, 88 anni di sogni: la magia “Made in Italy” che ha conquistato il mondo

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Cinecittà

Ottantotto anni fa, Cinecittà apriva le sue porte con l’ambizione di diventare il centro del cinema italiano. Era il 1937 e Roma cominciava ad indossare il trucco da grande star del grande schermo. Oggi, dopo quasi un secolo di storie, ciak, passioni, amori (veri e finti), quell’immensa e trasognante realtà continua a non solo a vivere, ma anche e soprattutto ad incantare. Non come un museo, ma come un cuore che batte ancora, ogni giorno, per il cinema.

D’altronde, lo disse anche Federico Fellini che:

Cinecittà è il posto dove ho scoperto che i sogni possono diventare realtà

Molto più di un set: Cinecittà è un cuore che palpita

Cinecittà non è solo uno studio cinematografico. È un’autentica città. Ha strade, piazze, palazzi, chiese, templi romani, mercati rinascimentali, camere d’albergo e stanze vuote piene di silenzi cinematografici. Dentro i suoi cancelli è stato ricreato il mondo, e forse anche qualcosa di più. Dai fasti dell’antica Roma ai salotti borghesi di inizio Novecento, dalle periferie neorealiste alle fantasie felliniane, ogni parete respira storie.

Cinecittà che bella città nella città…Cinecittà” cantava nel 1978 la cantautrice siciliana Roberta D’Angelo mentre passeggiava per le strade della Tuscolana. Un luogo nel luogo dove tutte le fantasie convergono nella fabbrica dei sogni italiana.

Roberta D’Angelo/Credit: Filippo Kulberg Taub

Il regista riminese Fellini, poi, non ha solo girato a Cinecittà. L’ha abitata per molti anni. Ne ha fatto la sua casa, la sua scatola magica, il suo teatro personale. Non è un caso che uno dei teatri di posa porti oggi il suo nome. Era lì che sognava, dava ordini, inventava, camminando tra scenografie irreali con quella leggerezza serissima che è propria dei veri poeti.

Ma Fellini non era solo. Cinecittà è stata la culla del Neorealismo, con Vittorio De Sica e Rossellini. È stata Hollywood sul Tevere, quando registi e attori americani la scelsero per girare film epici del filone “peplum” come Ben-Hur (1959) o Quo Vadis (1951). È stata il rifugio per registi coraggiosi, il laboratorio di storie indimenticabili.

Mi viene sempre in mente una scena tratta dal film Bellissima (1951) di Luchino Visconti: un lungo piano sequenza di mamme con le loro figliolette che fanno una fila interminabile per poter ottenere un provino e forse la parte della protagonista nel nuovo film di Alessandro Blasetti che stanno girando proprio dentro gli Studios di Cinecittà. Tra queste l’intramontabile Anna Magnani nel ruolo di Maddalena Cecconi che fa immensi sacrifici per dare una possibilità alla figlia balbuziente Maria (Tina Apicella).

Tina Apicella e Anna Magnani in “Bellissima”/Credit: Filippo Kulberg Taub

Cinecittà ha vissuto tutto: bombardamenti, crisi economiche, l’abbandono degli anni Ottanta, i sogni infranti, le proteste dei lavoratori. Ma ha sempre saputo rinascere. È caduta e si è rialzata con una determinazione tutta italiana, un po’ tragica, un po’ comica. Oggi è tornata a essere un polo creativo in fermento, ospitando produzioni internazionali, serie TV, restauri d’autore, e persino mostre che celebrano la sua storia.

Un intramontabile punto di riferimento

Cinecittà non è stata solo un epicentro del cinema italiano, ma anche un punto di riferimento fondamentale per la cinematografia internazionale. La sua influenza ha attraversato i confini nazionali, creando un ponte tra l’arte cinematografica europea e quella americana. Nei suoi studi sono stati girati alcuni dei film più iconici della storia del cinema mondiale, tra i quali va per forza citato Cleopatra (1963) o La dolce vita (1960) che ha definito una nuova estetica del cinema moderno. Il suo impatto non si è limitato solo ai film che vi sono stati prodotti, ma anche al modo in cui ha influenzato le estetiche visive e narrative del cinema mondiale, portando alla ribalta una nuova forma di cinema viscerale, realistico e fantastico al tempo stesso.

Quo vadis/Credit: Filippo Kulberg Taub

Gli Studios hanno ospitato i più grandi registi internazionali, da Stanley Kubrick a Martin Scorsese, da Ridley Scott a Quentin Tarantino, creando un ambiente di continua contaminazione tra stili e tradizioni diverse. Cinecittà ha contribuito anche alla creazione di una specifica identità italiana nel cinema, che si riconosce nelle atmosfere, nei temi e nel linguaggio delle sue produzioni. Lo spettacolo del realismo che ha contraddistinto il Neorealismo italiano ha avuto una risonanza globale, ispirando una generazione di cineasti e arricchendo il cinema mondiale con una nuova sensibilità.

Non solo un set cinematografico, ma un vero e proprio laboratorio culturale, Cinecittà ha dimostrato che il cinema è un linguaggio universale. Anche in un mondo dominato dalla tecnologia digitale e dalle produzioni in streaming, il suo fascino e la sua capacità di riscrivere la storia continuano a rappresentare una fonte d’ispirazione per gli artisti di oggi. La sua capacità di evolversi senza tradire la sua vocazione originaria è il segreto della sua sopravvivenza, e il motivo per cui continua a rimanere una delle mete più importanti per i cineasti di tutto il mondo.

Oggi, il cuore pulsante di Cinecittà non batte solo per il passato, ma è una testimonianza vivente che il cinema non è mai statico. Ogni set, ogni attore, ogni produzione che vi passa attraverso lascia una traccia, come una nuova scena in un film che non finisce mai.

Federico Fellini/Credit: Filippo Kulberg Taub

Molti luoghi invecchiano. Cinecittà, no. Perché il cinema è eterno, o almeno ci prova. I suoi teatri di posa sono ancora attivi, le sue comparse ancora pronte a entrare in scena. La polvere non è dimenticanza, è atmosfera. Il silenzio tra un ciak e l’altro non è noia, è attesa. E il tempo che passa non è un peso, ma una sceneggiatura che continua a scriversi.

Il numero 88 sembra un messaggio in codice. Due otto che si guardano, come due occhi sognanti. Due pellicole che scorrono. Due maschere del teatro, comica e tragica. Forse è solo un numero, ma a Cinecittà niente è solo quel che sembra.

Il cinema cambia, ma Cinecittà resta

Sul set di “Bellissima”/Credit: Filippo Kulberg Taub

Il cinema è cambiato: si guarda in streaming, si gira in digitale, si crea in 3D, in 4DX. Eppure, Cinecittà resiste. Si adatta, si rinnova, ma senza mai perdere il contatto con il proprio passato. Perché sognare è un mestiere serio, e nessuno lo sa fare meglio degli artigiani, registi, macchinisti, costumisti e sognatori che ogni giorno continuano a lavorare tra quei set.

Oggi, mentre celebriamo 88 anni di storia, non stiamo solo facendo un brindisi a un luogo. Stiamo dicendo grazie a un’idea, a una magia collettiva che ci ha fatto ridere, commuovere, pensare. Stiamo dicendo grazie al cinema italiano, che in quel piccolo angolo di Roma ha trovato la sua casa.

Auguri, Cinecittà. La fabbrica dei sogni che, nonostante tutto, non ha età!

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Studioso e appassionato di cinema internazionale. Ha dedicato i suoi studi alle grandi figure femminili del cinema del passato specializzandosi alla Sapienza di Roma nel 2007 e nel 2010 su Bette Davis e Joan Crawford. Nel 2016 ha completato un dottorato di ricerca in Beni culturali e territorio presso l’Università di Roma, Tor Vergata con una tesi sull’attrice israeliana Gila Almagor. Ha scritto diversi saggi e articoli di cinema e pubblicato l’autobiografia inedita in Italia di Bette Davis, Lo schermo della solitudine (Lithos). Oggi insegna Lettere alle nuove generazioni cercando sempre di infondere loro fiducia e soprattutto amore per la storia del cinema.

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