Il 26 settembre 1973 moriva, nella sua amata Roma, una delle più grandi personalità che l’Italia, e probabilmente il mondo, abbia mai avuto la fortuna di conoscere: Anna Magnani per i romani, Nannarella per chi le era veramente affezionato. Cuore, volto e voce di una Roma antica, ha rappresentato, in più di cinquant’anni di carriera, un punto di svolta tra il cinema di ieri e quello che sarebbe venuto dopo. È stata l’unica della sua generazione (classe 1908) ad essere in grado di portare sugli schermi cinematografici e sui palcoscenici le molteplici facce delle donne, e già questo dice molto su di lei.
Anna Magnani: una donna in un mondo di uomini
Da attrice caratterista a prima donna, Anna è riuscita a farsi strada in un mondo dominato dagli uomini, a poter utilizzare le maschere della vita per realizzare personaggi unici. Negli anni Sessanta, ormai famosa e diventata scomoda, non riuscì ad ottenere il giusto plauso e riconoscimento (nonostante l’Oscar ottenuto nel 1956 per il film “La Rosa tatuata”) e in qualche modo si auto-eclissò. Salvo pochi sprazzi cinematografici come in “Mamma Roma” di Pasolini del 1962 o la partecipazione nell’episodio “La famiglia” del film “Made in Italy” (Nanny Loy, 1965), i grandi registi, quasi spaventati dalla sua possente figura, la misero un po’ da parte, dimenticandosi quanto avesse fatto per il cinema e per il teatro.
Magnifica nello spettacolo teatrale “La Lupa” di Zeffirelli (1965) e tornata, quindi, a calcare i palchi d’Italia e internazionali dopo tantissimi anni, fu “riscoperta” solo agli inizi degli anni Settanta con una serie di film per la TV di Giannetti (“Tre donne”). Oggi, nel 2025, è la figura a mio giudizio più rappresentativa del cinema nostrano, fatto di sogni e di contraddizioni. Da “Roma città aperta” (Rossellini, 1945) a “Bellissima” (Visconti, 1951), passando per “Nella città l’Inferno” (Castellani, 1959), la grande Nannarella riuscì ad entrare nel cuore delle persone e ad essere accettata e amata non come una Diva ma come l’anti Diva per eccellenza. La donna del popolo che ama, soffre, vive e combatte. Non a caso, fu lei stessa ad ammettere:

A me piace la gente che sa soffrire, quella che cade e si rialza
Celebre nel film “L’onorevole Angelina”, anche qui non rinuncia a rubare la scena alle sue colleghe (nel cast una splendida Ave Ninchi e un giovanissimo Franco Zeffirelli), pur di restare fedele al suo ruolo di popolana disturbatrice che “baccaia” pur di ottenere giustizia per i poveri disgraziati di Pietralata che versano in condizioni pietose.
Arte e pace in un mondo di guerre
Nata a Roma (in più interviste ha smentito di essere nata ad Alessandria d’Egitto per un mero errore dei biografi dell’epoca e per un viaggio fatto da giovanissima per raggiungere la madre che visse lì per un periodo), ha vissuto entrambe le due guerre mondiali e ha lottato con i partigiani, intrattenendo il pubblico durante i suoi spettacoli teatrali (compagnia Totò-Magnani), senza mai prendersi troppo sul serio. Ciò nonostante, Marisa Pavan (1932-2023), che interpretò sua figlia nel film scritto da Tennessee Williams appositamente per lei, ricorda quanti sforzi avesse fatto “sua madre” nell’imparare i suoni della lingua inglese rendendo ancora più credibile la sua parte e facendole vincere la preziosa statuetta.
Generosità e cuore umano
Gentile, generosa, amante degli animali (soprattutto dei gatti), era sempre pronta a tendere una mano, ad aiutare il prossimo. Una donna che visse diversi amori importanti e che ebbe un figlio, Luca (nato dall’amore con l’attore Massimo Serato), che da sempre porta avanti la legacy legata a sua madre insieme a sua nipote Olivia (diventata anche lei attrice). Nei libri di cinema viene spesso accostata alla figura di Ingrid Bergman (1915-1982), perché entrambe hanno amato lo stesso uomo e perché si trovarono a girare due film su due isole vulcaniche (la Bergman stava girando “Stromboli – Terra di Dio”, per la regia di Rossellini). Fu ribattezzata “la guerra dei vulcani” e creò un certo scompiglio a distanza (probabilmente per incrementare la curiosità della stampa e del pubblico e cercando, così, di decretare il successo al botteghino dei film).
Per rimanere in tema, invece, “Vulcano” è il nome di una pellicola del 1950 diretta da William Dieterle, vede una Magnani che torna nella sua casa dopo anni, nella sua isola, dopo essere stata arrestata e mandata via con un foglio di sola andata. Ad attenderla la giovane sorella che, ignara del passato della donna, la accoglie nella loro vecchia casa e fa di tutto per renderla felice. Le chiacchiere delle comari di paese faranno emergere la verità creando momenti di tensione e di dolore.
La donna dietro il mito
Sulla Magnani se ne raccontano tante: addirittura che lanciò la pasta appena fatta in testa a Rossellini o che durante le riprese di “Mamma Roma” ebbe più di un alterco con Pasolini. Ma Anna era un’attrice e una donna di pancia, vera e diretta. Una donna unica nel suo genere che non aveva bisogno di pubblicità. Eppure, al di là delle aneddotiche leggendarie, ciò che rimane di Anna Magnani è la sua capacità di emozionare. Ogni sguardo, ogni parola pronunciata sullo schermo o sul palco aveva il peso e la verità della vita vissuta, della sofferenza, della gioia, dell’amore. La sua arte non era mai costruita, mai artificiosa: era carne, era sangue, era Roma stessa che parlava attraverso di lei.
Negli anni, registi e critici hanno cercato di definire la Magnani, di incasellarla in etichette che non le rendevano giustizia. Ma Anna sfuggiva a ogni classificazione: poteva essere tragica e comica, feroce e tenera, ribelle e madre protettiva. Era una donna che portava sul volto la storia del suo popolo, e per questo, ancora oggi, la sua immagine rimane iconica, capace di parlare a chiunque la guardi senza bisogno di parole.
Alcune sue interpretazioni straordinarie

Oltre ai film già citati, meritano una menzione speciale altre interpretazioni straordinarie: in “Abbasso la miseria!” (Righelli, 1945) e “Abbasso la ricchezza!” (1946) mostrò il lato più solare e ironico del suo talento, mentre in “Suor Letizia” (1956) e “Pelle di serpente” (1960) dimostrò la capacità di incarnare ruoli intensi, complessi e profondamente umani. In “Il miracolo” (1948), per la regia di Rossellini, la Magnani fu capace di mescolare sacro e profano, furore e devozione, creando una delle figure femminili più memorabili della storia del cinema italiano.
Anna Magnani non si limitò al grande schermo: il suo talento teatrale le permise di conquistare platee internazionali. Le sue tournée portarono il pubblico di Londra, New York, Parigi e Buenos Aires a conoscere l’energia travolgente di Nannarella, che portava sul palco la stessa intensità e verità dei suoi film. Durante queste tournée, fu spesso acclamata come una delle più grandi interpreti del teatro europeo, riuscendo a fare del suo volto e della sua voce un ponte tra culture diverse, pur restando profondamente radicata nella romanità.
Il retaggio di una donna che non ha mai smesso di brillare
Oltre all’Oscar per “La Rosa tatuata”, la Magnani vide assegnarsi numerosi riconoscimenti minori ma significativi: premi della critica italiana, riconoscimenti per la miglior attrice a festival internazionali e premi teatrali che celebravano la sua straordinaria capacità di incarnare la donna reale, con le sue fragilità e la sua forza. Questi attestati, pur meno noti al grande pubblico, testimoniano la stima e l’ammirazione che colleghi e critici nutrivano per lei, e che oggi confermano il valore duraturo della sua opera.

Il suo lascito è visibile in ogni attrice che tenta di portare sullo schermo la realtà cruda, passionale, talvolta violenta della vita quotidiana. È un’eredità che trascende i decenni e le mode cinematografiche: la Magnani ha insegnato che la grandezza non sta nel glamour, ma nella verità, nell’onestà emotiva, nella capacità di farsi vulnerabili e potenti nello stesso istante.
Celebrarla per celebrare la forza delle donne
Oggi, ricordare Anna Magnani significa celebrare la forza delle donne, la resilienza degli artisti, e l’infinita ricchezza del nostro cinema. Significa riconoscere che, anche a cinquant’anni dalla sua scomparsa, Nannarella continua a vivere nei cuori di chi ama il cinema autentico, senza filtri, senza compromessi. E come lei stessa amava dire, il segreto della vita e del mestiere sta tutto in una frase semplice:
Bisogna avere coraggio, sempre
Una citazione doverosa va anche al saluto finale che Anna, attrice e donna, rivolge al suo pubblico con il suo sorriso beffardo e iconico nel film “Roma” di Federico Fellini (1972). Un saluto alla sua città, quasi un presagio di ciò che sarebbe accaduto poco dopo. E così, mentre le luci si spengono sulle sale in cui ha recitato e le strade di Roma ricordano il suo passo fiero, Lei resta, indomita e immortale, simbolo eterno di passione, talento e verità. Ciao Nannarella!
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