Che ci piaccia oppure no, nel tempo la figura degli influencer ha acquisito una rilevanza sempre maggiore, soprattutto a causa della forte pervasività dei social media e del crescente “status di privilegio” appartenente a personalità del calibro di Chiara Ferragni o Mariano Di Vaio, le quali ne hanno agevolato l’imposizione sulla scena nostrana. Non a caso, se in un primo momento si trattava di un fenomeno pressoché marginale, che magari interessava pochi “fortunati utenti”, oggi costituisce un aspetto centrale della realtà (virtuale e non solo), nonostante stia subendo alcune battute d’arresto.
Il cosiddetto “Pandoro Gate”, infatti, che ha visto protagonista niente meno che colei che in molti ritengono essere l’imprenditrice digitale per eccellenza dei giorni nostri, insieme ad una maggiore consapevolezza nell’utilizzo delle piattaforme virtuali nonché alle riflessioni e alle norme di regolamentazione in materia di beneficenza e sponsorizzazione che vi hanno fatto seguito, ha permesso agli internauti di guardare in maniera differente a quelli che, per illo tempore, sono stati i loro beniamini e ha messo in dubbio il significato stesso del loro ruolo all’interno della società attuale.
Paladini da emulare o cattivi esempi da evitare? Il dilemma degli influencer

Sin da quando hanno cominciato a muovere i loro primi passi negli angoli più remoti del web, i medesimi nei quali, forse, in tanti sarebbero dovuti rimanere, gli influencer si sono diffusi a macchia d’olio nella rete, differenziandosi in più sottogruppi e arrivando addirittura ad occupare posizioni di prim’ordine nel panorama dello show business nazionale. Grazie a quei canali di comunicazione che aziende come Meta hanno messo a disposizione, in effetti, sono stati in grado di costruire attorno alla propria persona delle autentiche comunità di seguaci influenzati e influenzabili, le cui opinioni e i cui comportamenti erano (e rimangono tutt’ora) facilmente manovrabili dal primo “paladino del web” che si presenta nella loro homepage.
Abilità, quest’ultima, agevolata dalla parvenza di maggiore accessibilità e vicinanza ai follower rispetto alle celebrità tradizionali, dalla loro presunta conoscenza di una vastità di argomenti (sui quali dispensano a iosa consigli che il più delle volte si dimostrano “buoni” solamente all’apparenza) e dalla favola dei “ragazzi che ce l’hanno fatta” che ha spinto il pubblico, sulla base di un rapporto di fiducia nei loro confronti, ad ergerli a modelli da seguire. Insomma, un’attestazione di stima che negli ultimi anni, però, ha cominciato a venir meno.
Il cambio di passo
Non a caso, sebbene in un primo momento gli influencer sembravano essere personalità dalle mille risorse, capaci di dar voce o sostegno a quanti non avevano la possibilità di esprimersi e di rappresentare per molte cause sociali un faro di speranza contro le avversità del quotidiano, diversi fattori hanno iniziato, fortunatamente o sfortunatamente che sia, a giocare a loro sfavore. La commercializzazione del loro operato dovuta ad un’improbabile potenziale individuato dalle grandi industrie, la monetizzazione sulla qualunque sempre più evidente, l’effimerità dei contenuti diffusi e pubblicizzati, l’innegabile mancanza di talento o conoscenza in quei campi in cui amano spacciarsi per “specializzati” e gli scandali che hanno mandato in frantumi l’infrangibile vetro della loro perfezione hanno messo in crisi il senso di autenticità che aveva spinto gli internauti ad apprezzarli.

Pertanto, venendo meno il velo patinato di apparente e immacolata perfezione che li ammantava, la maggior parte degli estimatori, che ne hanno fatto la fortuna, sono stati in grado di guardarli con occhi totalmente diversi.
Le nuove prospettive
Basti pensare alla maggiore consapevolezza acquisita nei riguardi di quegli idoli di Instagram, Tik Tok e chi più ne ha, più ne metta, subito pronti a battersi il petto per le più nobili cause, ma mai a scendere realmente in campo, mantenendo, dunque, un impegno di facciata. Oppure, alla sfiducia in aumento verso gli autoproclamatisi “influ-attivisti”, influencer o divulgatori seriali che si consacrano esempi viventi in rappresentanza di tematiche e/o lotte sociali attuali, benché abbiano poco o nulla a che vedere con esse, nella speranza di mantenere alto il proprio indice di engagement. O ancora, all’abitudine più frequente di non aderire a campagne opache, prive di un’autentica sostanza di fondo e mirate unicamente (e spesso sfacciatamente) ad incrementare la credibilità e il profitto, che sia monetario oppure no, di chi se ne fa portavoce.
In altre parole, un’inversione di rotta che ha consentito ai più di comprendere che, in nome del falso mito del “se vuoi, puoi”, è l’immagine ciò che conta davvero, non il contenuto, e di scorgere quella retorica fast-food, da un “mi piace” e via, che fa bene soltanto agli influencer, di sicuro non a chi ripone la propria fiducia nelle loro mani. Che le vicende che hanno coinvolto Ferragni siano l’inizio della fine di un’era? Questo non ci è dato saperlo, possiamo solo ipotizzarlo! Ma quel che è certo è che lei e quelli come lei, finora incontrastati e idolatrati ai limiti dell’inverosimile, non avranno più “vita facile”.
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[…] zen prima di una call su Zoom. Roba da ridere? Può darsi, ma non meno dell’acqua firmata di Chiara Ferragni, la piccola fiammiferaia che vendeva un bene primario alla modica cifra di 8 euro a bottiglia […]