Meraviglia: la medicina contro quella Sindrome di Cotard che ci ha colpito tutti

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Meraviglia

Meraviglia. È questo uno dei focus sui quali ho strutturato l’ultimo corso che sto tenendo in Università. Volevo che i miei studenti capissero l’utilità di sapersi meravigliare, una parte da preservare e coccolare ogni giorno. Qualcosa da conservare come si fa con quel peluche di Winnie the Pooh ormai macchiato, scucito o con quel libro di Harry Potter con tutte le orecchie. Insomma è una nostra eredità bambina, una nostra comfort zone che poi, in realtà di comfort non ha così tanto. La meraviglia è movimento, è spinta creativa, è il pensiero che si scuote. E fin quando c’è movimento, c’è vita. La stasi, la passività, porta alla morte. Non più curioso, non più sorpreso.

Attenzione, però, perché nella meraviglia troviamo un po’ di tutto, anche paura!

Non sai come uscirne? Meraviglia-ti!

I greci amavano fornire l’origine delle cose. Per loro il termine poteva avere doppia valenza. Thaumazo, meravigliarsi di fronte a qualcosa di stupefacente, di sorprendentemente inatteso. Ma “thauma” che viene solitamente tradotto con il termine “meraviglia” ha in realtà, la sua origine etimologica, radici in un significato più profondo. Il suo vero significato è infatti terrore: un angosciante stupore per questa nostra esistenza, per la vita in cui ci troviamo e la cui durezza raggiunge tutti e tutti fa soffrire. È come se dovessimo conoscere le paure, accettare le ansie della vita e della nostra sofferenza esistenziale per poter essere vivi. Quindi solo attraverso un’immagine tormentata, allarmante possiamo veramente meravigliarci della vita.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa, Rosso 1965, Olio su tela/Credit: web

Consapevolezza di non sapere

Nel suo “In principio fu la meraviglia”, Enrico Berti (filosofo italiano, professore di storia della filosofia e presidente onorario dell’Istituto internazionale di filosofia) esordisce notando che Platone ed Aristotele «concordano nel riconoscere che il desiderio di sapere ha inizio dalla meraviglia provata di fronte al darsi delle cose». Egli precisa poi etimologicamente questo desiderio di sapere generato dalla meraviglia, identificandolo con la filosofia: quella che, «come dice la parola stessa (philosophia, ‘amor di sapere’, derivata da philein, ‘amare ’e sophia, ‘sapere’) […] hanno inventata i greci».

Berti chiarisce ancora che «la meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarsi a questa, cioè di apprendere, di conoscere, di sapere» e che sia essa, perciò, a promuovere la filosofia come «ricerca disinteressata di sapere, libera dai bisogni materiali e anche dal desiderio dell’agiatezza, o dal piacere». La meraviglia, però, non sarebbe «un sentimento facile da provare, frequente, diffuso, ma è uno stato d’animo raro e prezioso. Essa è l’espressione della vera libertà: libertà dal bisogno e dagli altri desideri».

Apertura allo stupore

Anche Eistein, che ne ha una su ogni cosa voi possiate pensare, ancora più dei baci perugina, visto che siamo vicino San Valentino, ricalca questo chiasmo meraviglia-vita-disillusione-morte:

Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere

Insomma il concetto è questo: se vuoi essere sereno, meravigliati, rimani aperto ad accogliere stupore. Rimanere aperti è molto complicato in una società che ha bisogno di incasellare. Dobbiamo essere definiti. Alcune volte assegno dei compiti nella mia attività di docente e formatore. Sono un “provocatore educato”. Adoro gli ossimori. Mi interessa scuotere le menti, dare la possibilità, alle personalità di poter emergere, di comunicare un messaggio, qualunque esso sia, quanto esso più singolare e strano possa rivelarsi. Unica prerogativa? Deve essere proprio. Bisogna essere coraggiosi, bisogna, per l’appunto, rimanere aperti. Aperti alle critiche, al giudizio, bisogna accogliere quello che viene con meraviglia.

La libertà imprigiona

Ho pensato questo perché diverse volte ho constatato come ricercatore un forte impatto, dal punto di vista socio-antropologico, di una consegna non ben definita, che viene percepita come un limite non una risorsa. Se c’è un margine di libertà questo è visto come pericolo, come esposizione di un modo di essere; può risultare frustrante e sabotante. Spesse volte è proprio il processo che ne fa dell’attività che stiamo facendo, il prodotto.

Ora se abbiamo detto che la meraviglia è la medicina per scorgere il motore della vita, per produrre nuova vita, per ricaricarsi, contro la depressione, qual è il “cattivo” di questa storia (perché sappiamo che a noi piace tanto e ci fa sentire al sicuro etichettare tutto e tutti)? Qual è la cicuta?

La sindrome di Cotard

La sindrome di Cotard è un disturbo psichiatrico raro in cui una persona crede di essere morta. Conosciuta anche come “sindrome dell’uomo morto” o, nel mondo anglosassone, come “sindrome del cadavere che cammina”, è una rarissima condizione neuropsichiatrica con non più di 100 casi descritti al mondo, caratterizzata da ideazione e delirio nichilistico, negazione cronica della propria corporeità, della propria esistenza o quella dei propri cari che, anche se presenti, possono essere considerati morti.

Come si fa a vivere da morti?

Il Dottor Jules Cotard, neurologo e psichiatra francese, ha descritto questa condizione per la prima volta nel 1880, durante una sua lezione, definendola un “délire de négation”.

“Mademoiselle X”, una donna 43enne, è stata la paziente zero, il primo caso clinico: portata all’attenzione del dottore nell’ospedale universitario di Pitié-Salpêtriére di Parigi, negava l’esistenza di dio e del diavolo, della sua anima, di parti del corpo come cervello, nervi, petto, stomaco e intestino (motivo per cui smise di mangiare), sostenendo di essere fatta solo di pelle e ossa, di essere stata maledetta e per questo resa immortale. L’unico modo per porre fine alla sua vita, a detta della paziente, era darsi fuoco.

Cotard formulò l’ipotesi che la paziente soffrisse di un nuovo tipo di depressione melanconica, caratterizzata da ansia, idee deliranti, insensibilità al dolore, negazione degli organi e delirio di immortalità. Qualche anno dopo definì questa sindrome – che poi prese il suo nome “ –delirio di negazione”.

Nel 1995 Berrios e Luque sistematizzarono la prima classificazione grazie all’analisi statistica retrospettiva dei 100 casi descritti in letteratura, delineando il profilo di 3 tipi di sindrome:

  • Un tipo denominato“ depressione psicotica”, in cui convergono ansia, malinconia, allucinazioni uditive e senso di colpa, senza però la presenza di deliri di negazione;
  • La Sindrome di Cotard di tipo I, caratterizzata da deliri ipocondriaci e di negazione, senza però la presenza di episodi depressivi. Questa categoria costituisce una sindrome di Cotard “pura”, ed è più affine al delirio rispetto ai disturbi affettivi;
  • La Sindrome di Cotard tipo II, caratterizzata da ansia, depressione, allucinazioni uditive, deliri di immortalità, nichilistici e tendenze suicide.

I sintomi principali sono:

  • L’ansia e la paranoia, legati al tema nichilistico;
  • Idee di dannazione eterna o possessione magico-religiosa;
  • Autolesionismo e aggressività;
  • La convinzione delirante di non possedere organi o sangue;
  • Alessitimia (ossia, l’assenza di emozioni e parole per descriverle);
  • Una scarsa reattività agli stimoli esterni;
  • La convinzione delirante di essere immortali;
  • La convinzione di sentire l’odore del proprio corpo in stato di putrefazione e decomposizione.

I tre stadi della sindrome

In un primo momento, corrispondente all’esordio della malattia, compaiono umore depresso, ipocondria e cenestopatia (ossia una sensazione dolorosa riferita a un organo o una parte del corpo, senza però una spiegazione medica). In questa prima fase, secondo gli autori, non è consigliato porre diagnosi.

Segue lo stadio florido, in cui dominano la componente ansiosa, il nichilismo e la negazione, idee legate alla mancata esistenza del corpo o parti di esso e la convinzione di morte. Inoltre, possono essere presenti sensi di colpa, condotte autolesive o suicidarie; lo stato cronico, sia in forma depressiva che paranoidea, in cui il delirio di negazione e l’ipocondria persistono marcatamente nel tempo.

Comorbilità

Anche se nella maggioranza dei casi la negazione di sé stessi può essere associata alla depressione psicotica, la sindrome è stata riscontrata anche in pazienti affetti da deficit cognitivi e malattie neurologiche, come il morbo di Parkinson, l’emicrania, i tumori cerebrali, l’epilessia del lobo temporale, le lesioni cerebrali traumatiche, le malformazioni arterovenose, la sclerosi multipla, l’encefalite, l’emorragia subdurale, l’atrofia cerebrale, l’infarto cerebrale o la trombosi del seno sagittale superiore.

Anche se la sintomatologia è variabile, essa può essere associata ad altri disturbi psichiatrici (0,62% dei casi) o neurologici (0,11%), oppure presentarsi come disturbo isolato.

“Sento la morte dentro”

Provare amore e poter e/o saper accogliere amore sta diventando sempre più difficile. Una volta una persona che ho amato molto mi disse: “sento la morte dentro”. Non riuscivo a capire.

La vita la vedo come un rullino di quelle macchine fotografiche color seppia che piano piano si srotola e mostra i negativi di una storia che prende forma, alcune foto sono molto scure e non si vedono bene, altre sono sovraesposte, hanno preso troppa luce e sono bruciate. Ma ce ne sono molte che sono semplici, belle, raccontano di un sorriso, di uno sguardo, di due mani che si baciano, di un’isola. Dai la possibilità a quella macchina di scattare altre foto, strane, bizzarre, venute male, bene…ricorda non conta il prodotto, conta il processo.

Non smettere mai di provare meraviglia. Vivi!

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Trentenne lucano adottato da Roma. Diplomato in Conservatorio (“Santa Cecilia”) in Pianoforte, specializzato in Didattica della Musica e Visual Arts (“Accademia di Belle Arti di Roma”), oggi si dedica alla Artistic Research (“Orpheus Institute”). Docente Universitario (“Link Campus University”) e di Scuola Secondaria, di tanto in tanto, presta la sua immagine al mondo della Moda o dello Spettacolo (“Casasanremo24”). È il “Mister + Bello d’Italia 2024”

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