Mammut, gli USA li riporteranno in vita nel 2028: sarà davvero un’età dell’oro?

7 mins read
Mammut.

La de-estinzione ha compiuto grandi progressi e molto più rapidamente di quanto avessimo immaginato – Ross MacPhee, paleontologo

Cosa hanno a che fare i Mammut con Donald Trump? Ebbene, il 47-esimo presidente degli Stati Uniti d’America, al suo insediamento qualche settimana fa, ha parlato dell’avvento di una “età d’oro” per l’America e Elon Musk, polemica sul saluto romano a parte, non stava più nella pelle dalla gioia. Il magnate proprietario di Space-X ha declinato tale età d’oro all’esplorazione dell’umanità su Marte, sognando di piantare la bandiera a stelle e strisce anche sul pianeta rosso, e prospettarvi una colonizzazione umana. Un piano-B per l’umanità, una exit strategy in caso di estinzione dell’umanità sulla Terra.

Tuttavia, potrebbe addirittura esserci un piano-C perché, stando alle più recenti notizie, tale visione prospettica potrebbe addirittura essere applicata al mondo della genetica e della Preistoria. Ma come?

Il sogno americano di ricreare in laboratorio i Mammut

Indubbiamente, dal punto di vista puramente scientifico rispetto alle tecnologie già sviluppate e disponibili oggi, il sogno di riportare in vita il Mammut, vederlo pascolare, ha maggiori possibilità di riuscita rispetto ad un viaggio di andata e ritorno sul pianeta rosso con equipaggio umano. Ma cerchiamo di approfondire la volontà di realizzare nel concreto quella che, per il momento resta soltanto un’utopia: Quando vissero questi animali? Quando si estinsero? Chi sta finanziando la ricerca? Qual è il potenziale scientifico? Quali sono i temi etici sulla faccenda? Servono regole?

Il DNA dei Mammut lanosi “somiglia” a quello dell’elefante asiatico

I mammut lanosi vissero nella Siberia orientale alla fine dell’Era Glaciale, circa 10.000 anni fa, e si estinsero da circa 4.000 anni. Colossal Biosciences, una startup con sede a Dallas di cui parleremo in seguito, sta cercando di far vedere loro nuovamente la luce. L’azienda esplora anche l’uso dell’editing genetico per aumentare la diversità genetica nelle specie minacciate, rendendole più resilienti e meno suscettibili all’estinzione. In che modo riuscirci?

Il Times riporta che nel 2022 la stessa impresa aveva annunciato di aver sequenziato il genoma dell’elefante asiatico, che condividerebbe il 99,6% del DNA con il mammut lanoso. Da qui il ritorno in vita del Mammut poiché il progetto prevede la combinazione di questo genoma con campioni di DNA prelevati dai resti fossili che abbiamo a disposizione, aprendo una possibilità concreta per la sua realizzazione.

La tecnologia genetica che si vuole applicare prende il nome di “De-estinzione”, ossia quel processo biotecnologico che mira a riportare in vita specie animali estinte attraverso tecniche di ingegneria genetica, clonazione e manipolazione del DNA.

Non solo Mammut, ma anche Dodo e tigre della Tasmania

Per poter procedere all’attuazione di un piano che i più giudicherebbero folle, la startup statunitense ha raccolto, al termine di una serie di finanziamenti onerosi, ulteriori 200 milioni di dollari per tentare di riportare in vita il Mammut lanoso (Mammuthus primigenius, specie estinta di elefante). Ma non solo, perché tra le intenzioni ci sarebbe anche quella di applicare il processo di de-estinzione al Dodo (specie di uccello estinto nel XVII secolo) e alla tigre della Tasmania (un marsupiale parente di canguri e koala estinto nel 1936). Una scommessa legittima, ma che solleva qualche dubbio etico.

Ad ogni modo, gli investitori scommettono sui profitti che può generare la De-estinzione dei Mammut. Un business che pare miliardario. Ma chi sono i 170 scienziati impiegati nell’iniziativa? E prima di ogni altra cosa, cos’è la Colossal Biosciences, che sembra aver preso per buone e realizzabili le trame dei blockbuster alla Jurassic Park?

Cos’è la Colossal Biosciences?

  • Nome: Colossal Biosciences.
  • Fondazione: 2021.
  • Fondatori: George Church, Ben Lamm.
  • Sede: Dallas, Texas, USA.
  • Personale: Oltre 170 scienziati.
  • Finanziamenti totali: 435 milioni di dollari (i fondi raccolti hanno visto il succedersi di diverse fasi di finanziamento: quello iniziale, poi il primo grande investimento per scalare il business e migliorare il prodotto, a seguire la fase dell’espansione del mercato, crescita del team e sviluppo del modello di business).
  • Ultimo round di finanziamento: 200 milioni di dollari (2025). Fondi raccolti nella fase chiamata Serie C, in cui l’azienda è già consolidata, ha dimostrato un potenziale significativo e raccoglie fondi per espandersi ulteriormente, acquisire altre società o prepararsi per una IPO (offerta pubblica iniziale).
  • Investitori principali: TWG Global (società di investimento fondata da Mark Walter, attiva nel settore della biotecnologia e della sostenibilità), Thomas Tull, Peter Jackson, Richard Garriott, Jeff Wilke, Paul Tudor Jones.
  • Progetto principale: Reintroduzione del Mammut lanoso entro il 2028.

Chi è il miliardario Mark Walter?

Mark Walter

TWG Global è il veicolo di investimento di Mark Walter, noto imprenditore e finanziere con una vasta esperienza nel settore degli investimenti strategici. Secondo Forbes, il suo patrimonio è stimato in 6 miliardi di dollari.

Insieme alla Mark Walter Family Foundation e alla Los Angeles Dodgers Foundation, Mark Walter ha donato 100 milioni di dollari per sostenere la ricostruzione e il recupero dalle devastanti incendi che hanno colpito la California meridionale.

TWG Global opera in vari ambiti, tra cui media, sport, biotecnologie e sostenibilità. Walter è anche il proprietario del Los Angeles Dodgers e co-proprietario del Chelsea F.C. (Premier League). Walter possiede la Professional Women’s Hockey League (PWHL). Ha investimenti personali in Beyond Meat e Carvana. Mark Walter è il co-fondatore e CEO di Guggenheim Capital, LLC, una società di servizi finanziari con oltre 340 miliardi di dollari in gestione.

Walter è attivo nella conservazione della fauna selvatica:

  • Possiede White Oak Conservation, una riserva di 17.000 acri in Florida.
  • Finanzia riserve naturali in Africa per la protezione delle specie in pericolo.

È membro del consiglio della Solomon R. Guggenheim Foundation, direttore del Field Museum, e trustee di Northwestern University e Creighton University.

Il potenziale scientifico della de-estinzione

La de-estinzione, resa possibile dai progressi della biologia sintetica e dell’ingegneria genetica, è una disciplina in evoluzione che potrebbe avere implicazioni significative per la biodiversità. Tuttavia, vi sono sfide scientifiche complesse da affrontare, tra cui la ricostruzione del genoma di specie estinte, la gestione epigenetica e l’integrazione degli organismi riportati in vita negli ecosistemi attuali.

Un caso emblematico, oggetto di particolare attenzione da oltre un decennio, è il Mammut lanoso, il cui DNA è stato parzialmente sequenziato grazie ai reperti conservati nel permafrost siberiano, lo strato di terreno permanentemente ghiacciato che conserva resti biologici.

Il cambiamento climatico è un ostacolo tecnico al progetto

Mammut (zanna).
Credit: web

Sebbene milioni di zanne di mammut siano ancora sepolte nel ghiaccio, la degradazione del materiale genetico a causa del cambiamento climatico rende sempre più complesso il recupero di sequenze integre e utilizzabili per la clonazione o la modifica genetica.

Il dibattito scientifico ed etico

La de-estinzione solleva interrogativi critici sulla sua effettiva utilità.

Alcuni esperti sostengono che riportare in vita specie estinte possa contribuire alla restaurazione di ecosistemi perduti, mentre altri mettono in guardia sui rischi di effetti imprevedibili. In particolare, l’introduzione di organismi con patrimoni genetici obsoleti in un ambiente modificato dall’evoluzione potrebbe portare a squilibri ecologici.

Un esempio di fallimento nel tentativo di de-estinzione è quello dello stambecco dei Pirenei (bucardo), estinto nel 2000 e successivamente clonato nel 2003.

Il clone sopravvisse solo pochi minuti, evidenziando i limiti tecnici e biologici della clonazione applicata a specie scomparse.

Il paradosso della de-estinzione e la conservazione delle specie viventi

Mentre vengono stanziati milioni di dollari per riportare in vita specie estinte, la protezione di specie a rischio riceve finanziamenti molto più limitati. Negli Stati Uniti, nel 2023, 2.321 specie erano catalogate come minacciate dalla Endangered Species Act (ESA), che mira a prevenirne l’estinzione.

Esempi critici sono la cicogna americana (Mycteria americana), minacciata dalla perdita dell’habitat, l’alligatore del Mississippi (Alligator mississippiensis), oggetto di caccia e pressione antropica, e la cyprogenia stegaria, un mollusco d’acqua dolce a rischio a causa dell’inquinamento dei corsi d’acqua. La domanda centrale è: ha più senso investire nella protezione delle specie viventi o nella ricreazione di quelle ormai estinte?

Una scommessa che può essere vinta?

Se si decide di scommettere su riportare in vita i Mammut le faccende etiche passano in secondo o terzio piano, ciò che conta è il business, detto nella lingua del business, il ritorno sull’investimento (ROI: Return on Investment).

Come nota a margine della notizia, il valore attribuito dal mercato alla Colossal Biosciences, è di oltre 10 miliardi di dollari, in ragione del potenziale economico che può generare.

Possiamo solo ipotizzare alcuni dei campi in cui verranno utilizzate i Mammut: cinema hollywoodiano, attrazione negli zoo e sperimentazione scientifica.

Necessaria una regolamentazione internazionale

Le regole che limitano la sovranità di uno stato non piacciono di questi tempi, sono generalmente invise dai governi “sovranisti”. Non piacciono le regole internazionali, in modo particolare. Negli anni Novanta del secolo scorso abbiamo assistito ad un’età d’oro del diritto internazionale, basti pensare alla meraviglia dello Statuto di Roma con la creazione della Corte Penale Internazionale, a mio avviso un baluardo che andrebbe difeso ogni giorno, migliorato e sostenuto – invece è sotto attacco per fini retorici, di propaganda.

Con il processo di de-globalizzazione è seguito un continuo degrado e una altrettanto continua azione di demolizione e delegittimazione di questi istituti (tra cui ovviamente l’ONU), anche e soprattutto da parte dei quei governi alla guida di “democrazie mature”. I paradossi non finiscono mai di stupirci, del resto quando un frutto è troppo maturo inizia a marcire.

Per inciso, gli organismi sovranazionali almeno sul piano ontologico tendono a limitare la sovranità dei singoli stati, a vantaggio di un interesse generale più ampio. Così è accaduto per gli accordi di Parigi per il clima (un esempio eclatante di “uscita”), e in una serie di trattati internazionali sulla proliferazione delle armi nucleari, sulla produzione stessa delle armi, sulla gestione dello spazio a beneficio dell’umanità (ora diventato un business di privati). Gli stati moderni, e non serve un luminare per rendersene conto, sono entrati un una fase in cui, appunto, “escono”, fuggono dalla responsabilità.

I governi escono dagli organismi internazionali o li delegittimano per garantirsi il diritto di attuare delle politiche domestiche, pro domo propria, che non presuppongono limitazioni al potere, o “sacrifici” ad un singolo stato, inutile girarci intorno. Ovviamente a perderci è l’umanità nel suo complesso, ma credo che il Diritto alla Competenza dei Politici sia anora da sistematizzare nelle nostre società.

In questi tempi moderni, si invoca sempre più spesso una de-regolamentazione. Ci si dibatte tra un eccesso di regole e la loro mancanza. Si perde di vista, tuttavia, la ragion d’essere delle regole, garantire una maggiore sopravvivenza per il maggior numero di dinamiche coinvolte, tutelare e garantire le minoranze, ecc…

Il buon senso, la globalizzazione del Diritto, riuscirà a battere le logiche di business?

La de-estinzione è una frontiera scientifica affascinante, ma necessita di regolamentazioni rigorose per evitare implicazioni negative sugli ecosistemi attuali.

La comunità scientifica sottolinea la necessità di linee guida etiche e ambientali, affinché queste ricerche non distolgano risorse dalla conservazione delle specie ancora presenti. Solo attraverso un approccio equilibrato tra innovazione biotecnologica e tutela della biodiversità sarà possibile affrontare le sfide della crisi ecologica in maniera sostenibile e responsabile.

La comunità scientifica, questa strana creatura che spesso viene invocata come giudice ultimo della verità scientifica, avrà la forza e il coraggio di orientare il business verso scenari in cui l’uomo possa sopravvivere? What do you think?

Per rimanere aggiornato sulle ultime opinioni, seguici su: il nostro sitoInstagramFacebook e LinkedIn

Studioso di comunicazione, semiotica e vessillologia. Esploratore, attivista culturale e saggista. Già consigliere comunale e militante radicale "contro la pena di morte". Laurea in relazioni pubbliche (Iulm, Milano), diplomi di alta formazione nel pensiero filosofico di Tommaso d’Aquino e Anselmo d’Aosta presso atenei pontifici; “Esperto in criminologia esoterica”, master in bioetica. Tra i suoi interessi di ricerca: diritti umani, peace studies, hate speech online, analfabetismo religioso. Da oltre dieci anni Ministro della Chiesa di Scientology e rappresentante italiano dello scrittore statunitense L. Ron Hubbard.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

Grammy Awards 2025: top e flop degli Oscar della musica

Next Story

Animali, l’IA potrà presto farli parlare? Quando la scienza non conosce limiti

Latest from Blog

0 $0.00