Con l’arrivo del Natale, una delle prime cose a cui pensiamo sono proprio “i doni” che vorremmo fare alle persone che ci sono più care. In molti li vedono come semplici oggetti, altri come una testimonianza di affetto o amore e altri ancora ci vedono addirittura qualcosa in più. Secondo l’antropologo, sociologo e storico delle religioni francese Marcel Mauss, ad esempio, il cosiddetto dono (o “presente” o “regalo” o in qualunque altro modo vogliate chiamarlo) conserva in sé una forza trasmessa dalla persona che li fa. Questo perché sono una sorta di prolungamento degli individui, che si identificano nelle cose che possiedono e che scambiano. Non a caso, egli riteneva che:
Il dono è un fatto sociale totale
Cosa si nasconde dietro al famigerato “dono”?
Questo quarto di secolo, in cui imperano alterate interpretazioni e immagini edulcorate, che continuano a sciogliere come lacci di sandali stretti quei legami che univano, è giunto ad un altro Natale. Ancora alberi e momenti da condividere, ma quali alberi sono coperti dai doni? Forse gli alberi di un ego smisurato che dona per esuberanza? C’è ancora la speranza dentro al cuore di molti uomini che vogliono ricomporre il cerchio dell’Interscambio?
Potrebbero aprirsi diverse porte di grandi saloni per disquisire “il valore del dono” , ma in questa sede si vuole porre l’attenzione al significato del donare: atto di amore incondizionato verso l’altro ma è anche la potenza del disvelamento di un Io verso un Tu, un atto di fiducia verso l’altro. Il dono è il seme che unisce, durante l’ultima cena si divideva il pane per unire, per condividere non per separare , quindi per donare è anche necessario che il ricevente comprenda il gesto dell’altro.
La visione di Mauss e il concetto di “hau”
Un bene che si riceve da un proprio caro è depositario di memoria. Secondo Mauss, nipote del padre della sociologia Émile Durkheim e autore del magistrale “Saggio sul dono” (1924), negli oggetti donati esiste un’anima, che li lega a colui che li dona. Tale forza fa sì che ogni oggetto, prima o poi, tenda a ritornare al suo proprietario sia nella sua forma originaria sia sotto forma di altri doni equivalenti. Mauss, in particolare, fa riferimento all’hau, un concetto che per i Maori della Nuova Zelanda esprime un’essenza vitale insita negli esseri umani.
Sicuramente, in questo momento storico colpito da due guerre importanti, siamo arrivati ad un’analisi la cui prospettiva non è delle migliori. Si assiste ogni giorno alla rivendicazione del possesso e abbiamo forse dimenticato che è la vita in questo mondo è un transito momentaneo, che nulla ci appartiene, che niente è nostro se non della vita, della natura, pertanto donare e ricevere deve accadere nell’istante che vive tra i “due”.
Tutto è più “essenziale” (e non nel senso positivo del termine)
I doni di Natale sono sempre più “essenziali”, i colori meno accesi e l’euforia è sempre più virtuale. Si quantifica un solipsismo devastante, quasi una volontà di potenza che deve saziare l’ego. Non a caso, le grandi cene si sono trasformate in tavole bandite da cibi light, da veloci tombolate e scambio di doni che non profumano di condivisione. Visto che tutto è labile, liquido, forse il dono fa paura perché inconsciamente è il simbolo di una promessa di impegno che col tempo non verrà mantenuta, magari per paura che nel cerchio della condivisione l’Ego venga annullato a favore di quel Sé collettivo che in verità è l’unica realizzazione dei rapporti umani: amicizia, relazioni d’amore, altri tipi di affetti.
Si continua a parlare di incondizionalità dei sentimenti, di non aspettarsi nulla in cambio ma sappiamo bene che ci si prende in giro, che il dono ha due grandi dimensioni congiunte tra di loro: il donante e il ricevente, a sua volta il ricevente diventa donante di un altro ricevente, quindi è una catena che dovrebbe concludersi con l’aggancio degli ultimi due anelli in modo che il valore del dono possa essere sempre santificato, valorizzato.
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