Violenza in rete: quando i social diventano armi

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La violenza in rete è diventata una realtà inquietante, un fenomeno che cresce senza sosta e che, giorno dopo giorno, coinvolge un numero sempre maggiore di giovani. I social media, nati come strumenti di connessione e condivisione, si sono trasformati in armi pericolose nelle mani dei ragazzini. Sempre più spesso, i minori, cercando approvazione e notorietà, diventano protagonisti di atti di violenza e brutalità.

La cronaca parla chiaro: nelle scorse settimane, ad esempio, è diventato virale un video di un minuto e venti secondi nel quale un ragazzino di soli 12 anni è stato umiliato e deriso da un gruppo di coetanei nel foggiano.

L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. Soprattutto sui social, non restare indifferente! – Anonimo

I social, infatti, non solo amplificano la portata della violenza giovanile, ma la rendono anche spettacolo. Video di pestaggi, mortificazione e atti di bullismo vengono ripresi, montati e condivisi come se fossero scene di un film, contribuendo a creare un clima di emulazione e normalizzazione dell’aggressività. I “like” e le condivisioni diventano la moneta di scambio per una popolarità distorta, che premia chi infligge dolore, piuttosto che chi costruisce relazioni sane e rispettose.

Gli effetti dell’ondata di violenza sulla società

Credit photo: web

Questa dinamica perversa è il sintomo di una profonda crisi sociale. La nostra società è sempre più esposta alla frenesia digitale. La comunità sembra aver perso il suo orientamento morale, soprattutto nei confronti dei più giovani. I ragazzini, anziché essere protetti e guidati, si ritrovano a navigare in un mondo che li spinge verso comportamenti sempre più estremi. Il senso di impunità e la ricerca compulsiva di approvazione attraverso i “mi piace” e le visualizzazioni alimentano tale tendenza. Da qui partono le challenge più pericolose, che portano i più piccoli a sfidarsi nelle prove più insensate (spesso ai limiti della legalità e con conseguenze a volte letali) per dimostrare di avere coraggio.

Ma questa è anche la radice del fenomeno delle baby gang. Le bande di violenti ragazzini che si muovono con una brutalità sconcertante, sono l’esempio più lampante di questa deriva. Questi gruppi agiscono con spavalderia, convinti che la mancanza di limiti imposti dalle istituzioni e dalla società dia loro carta bianca. E il fatto che le loro azioni vengano immortalate e diffuse sui social non fa che esacerbare la situazione, creando un circolo vizioso di violenza e notorietà.

Un’azione che deve essere condivisa

Per arginare questa emergenza, è necessario un intervento coordinato e deciso su più fronti. Le istituzioni scolastiche devono essere al centro di un cambiamento culturale. Occorre promuovere un’educazione ai valori, al rispetto dell’altro e alla gestione delle emozioni fin dalla tenera età. Non basta più insegnare le materie tradizionali; è fondamentale inserire veramente programmi di educazione civica che affrontino direttamente il tema della violenza e delle sue conseguenze.

Parallelamente, i genitori devono essere coinvolti e formati per riconoscere i segnali di disagio nei propri figli. Fondamentale è il supporto di servizi di assistenza psicologica che aiutino le famiglie a gestire situazioni di conflitto. Le istituzioni, da parte loro, devono garantire la presenza di figure educative nei quartieri più a rischio, creando spazi di aggregazione sani e alternativi alla strada.

Ma il cambiamento più urgente deve venire dalle stesse piattaforme social, che devono assumersi la responsabilità di creare ambienti sicuri. Questo significa non solo monitorare e rimuovere contenuti violenti, ma anche investire in campagne educative e strumenti che promuovano un uso positivo della rete. Le aziende tecnologiche devono collaborare con educatori e istituzioni per costruire una cultura digitale che premi la creatività, la collaborazione e il rispetto.

L’arresto di Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram, la dice lunga sulla deriva dei social network. Le accuse che gli sono state rivolte, infatti, sono gravi: frode, traffico di droga, cyberbullismo, criminalità organizzata e promozione del terrorismo. Le autorità francesi, fautrici della carcerazione del manager, sostengono che la mancanza di moderazione e cooperazione con le forze dell’ordine da parte di Telegram abbia facilitato il proliferare di queste attività sulla piattaforma.

La risposta efficace è impegnarsi per costruire un mondo migliore

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È chiaro che È chiaro che la violenza in Rete non è un problema che può essere risolto con soluzioni semplici o immediate. Richiede un impegno costante e collettivo, una volontà di cambiare le dinamiche sociali che hanno portato a questo punto. È però evidente che ormai sia necessario mettere dei paletti e intervenire in maniera decisa sulla questione giovanile. Solo attraverso un intervento risoluto su tutti i fronti, infatti, possiamo sperare di trasformare i social. Da armi di distruzione devono tornare a essere strumenti di costruzione che permettano di realizzare una società più sicura e giusta per i nostri ragazzi, un non-luogo in cui crescere senza il costante timore della violenza, fuori e dentro la Rete.

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Classe 1984, è una giornalista che ha iniziato la sua carriera nel 2006 presso un'emittente locale, dove si occupava principalmente di cultura e attualità. La sua passione per il giornalismo e la comunicazione l'ha portata a collaborare con alcune delle più importanti testate nazionali, ampliando il suo raggio d'azione su una vasta gamma di temi.Nel corso degli anni, ha scritto di attualità, cultura, spettacoli, musica, cinema, gossip, cronache reali, bellezza, moda e benessere. Ha avuto l'opportunità di intervistare numerosi cantanti, attori e personaggi televisivi italiani e stranieri.Attualmente, scrive per le riviste Mio, Eva 3000 e Eva Salute, dove continua a esplorare i temi che da sempre la appassionano, con un occhio attento alle tendenze e ai cambiamenti del panorama mediatico e culturale.

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