Uno spot con Diletta Leotta, un bambino che guarda sotto una minigonna… e la pubblicità finisce per essere sospesa: bentornati nell’Italia della pubblicità che strizza l’occhio al politicamente scorretto, ma inciampa nel buon senso: “La prima volta che sei rimasto senza parole“. Certo, ma anche l’ultima volta che la saggezza ha fatto capolino in sala riunioni!
C’è qualcosa di surreale e profondamente italiano nel vedere una scarpa finire in prima pagina per colpa di uno sguardo. Uno spot pensato per vendere leggerezza che finisce per sollevare un macigno etico. E come spesso accade, tra pubblicità e polemica, chi ci guadagna è sempre il brand e, ahinoi, mai il buon gusto.
Nello spot promozionale dell’azienda U-Power, noto marchio di scarpe da lavoro, una cantante si esibisce su un palco indossando una minigonna. Tra il pubblico, un bambino che avrà poco meno di una decina d’anni la guarda dal basso verso l’alto con gli occhi sgranati e la bocca aperta, rapito da ciò che (non) si vede. Il tutto accompagnato dalla voce narrante di Diletta Leotta: «La prima volta che sei rimasto senza parole. Lasciati stupire ancora una volta». Un messaggio che, secondo il Giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, “sessualizza lo sguardo di un bambino” e per questo è stato ritenuto lesivo dell’articolo 11 del Codice sulla protezione dei minori nella comunicazione commerciale.
E qui nasce la riflessione, perché la pubblicità, nel suo intento di “stupire”, ha finito per scioccare. Non per l’audacia, ma per quella che qualcuno ha definito miopia culturale.
La natura vuole che i bambini siano bambini prima di diventare uomini. Se vogliamo pervertire quest’ordine, raccoglieremo frutti precoci che non matureranno mai – Jean-Jacques Rousseau

Il politicamente scorretto che paga (ma non in civiltà!)
Cosa c’è di così strano?, si chiedono alcuni. «La malizia sta negli occhi di chi guarda», ribatte il fondatore dell’azienda. Ma se la malizia è negli occhi, allora lo spot è un test da Rorschach: ciò che vediamo rivela ciò che siamo. Il problema, però, è che stavolta gli occhi sono quelli di un bambino, e a mettergli davanti quell’immagine è stato un adulto: non uno qualunque, ma un’intera squadra di creativi, registi, dirigenti, autori, tutti d’accordo che un bambino che guarda sotto la gonna possa essere… uno spunto brillante per vendere scarpe.
Forse qualcuno pensava di fare ironia. O forse, peggio, pensava che fosse semplicemente efficace. Un colpo basso, in ogni senso. Perché, quando si prende lo sguardo puro di un bambino e lo si trasforma in desiderio, anche l’ironia diventa una scusa scomoda.
È quasi tenera, in fondo, questa costante rincorsa della pubblicità italiana agli anni ’90, quando tutto era più semplice, più volgare e più vendibile. Solo che oggi c’è internet, ci sono i codici di autodisciplina e c’è, soprattutto, una sensibilità nuova che non ha più voglia di ridere per forza.
E mentre la pubblicità viene ritirata, U-Power brinda alle vendite che “volano”, proprio grazie allo scandalo. Sì, perché l’Italia è quel Paese dove lo sdegno è un ottimo carburante per il marketing e la sospensione di uno spot può diventare la migliore delle campagne.
Occorre tutelare l’infanzia
Ma rimane un fatto: lo spot non è stato bocciato per bigottismo, ma per tutela. Quella tutela che dovrebbe essere alla base di ogni comunicazione che coinvolge i minori. E che, invece, è stata messa da parte in nome di un’estetica anni ’90 che ammicca, sorride e poi inciampa rovinosamente sul confine tra provocazione e volgarità.
La verità è che l’innocenza non fa vendere. O meglio, fa vendere solo quando viene tradita. Ed è questo il retrogusto dolceamaro di tutta la faccenda: ci si scandalizza per il bambino che guarda, ma si dimentica che siamo stati noi – adulti, pubblicitari, spettatori – a dirigergli lo sguardo.
E così, mentre il marketing corre, magari in scarpe ultraleggere, l’etica resta ferma, con le braccia conserte e un’espressione che non ha bisogno di slogan.
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