La scoperta della tomba di Tutankhamon, avvenuta il 4 novembre 1922, ha davvero affascinato il mondo. Le fotografie dei reperti, diffuse a livello internazionale, insieme al coinvolgimento della Corona Inglese e ai quintali di oro e preziosi ritrovati, hanno creato una miscela comunicativa straordinaria. L’impero britannico, con il suo focus sulla supremazia, ha realmente giocato un ruolo cruciale nel riportare alla luce i resti di individui morti millenni fa. Tali scavi non solo hanno alimentato il sogno di onnipotenza dell’Occidente, declinato a volte col termine ‘progresso’, altre volte negli ‘-ismi’, ma hanno anche fornito conoscenze preziose che hanno arricchito riviste, giornali e musei di tutto il mondo. E il ritrovamento del sepolcro di uno dei faraoni più famosi di tutti i tempi non poteva di certo essere da meno.
Uno sguardo all’antico Egitto grazie al sepolcro di Tutankhamon
I tesori emersi dalle ricerche effettuate in seguito al primo ritrovamento hanno offerto uno sguardo senza precedenti sulla cultura e la vita quotidiana dell’antico Egitto, rivelando pratiche, credenze e una complessità sociale che continua ad affascinare studiosi e appassionati. Queste scoperte hanno perfino sollevato interrogativi etici riguardo alla proprietà e alla conservazione di tali reperti.
Difatti, c’è molto di più oltre al fatto oggettivo della scoperta archeologica: le modalità con cui gli egizi accompagnavano il defunto nel suo viaggio nell’aldilà, riflettendo una complessa escatologia che permeava la loro cultura, hanno alimentato un fascino duraturo per l’egittologia e ha reso il relativo periodo storico una fonte inesauribile di meraviglia e studio. La visione dell’aldilà di quell’epoca, intrisa di riti e simbolismi, non solo illuminava le credenze religiose, ma rivelava anche le aspirazioni e le paure di una società che cercava di comprendere il destino dell’anima dopo la morte.
Tuttavia, ridursi a commemorare l’evento nel suo mero contesto storico sarebbe un esercizio di scarsa rilevanza. Piuttosto, si potrebbe riflettere sull’eredità della scoperta della tomba di Tutankhamon, esplorando le molteplici implicazioni e il significato duraturo nel panorama contemporaneo. L’intento dovrebbe essere quello di interrogare il passato e il modo in cui questa figura iconica continua a influenzare la nostra comprensione dell’identità culturale dell’Egitto moderno e della memoria collettiva.
Una lezione di storia dalla Valle dei Re
Il 4 novembre 1922, nella Valle dei Re in Egitto, un membro della squadra di ricerca dell’archeologo Howard Carter, di cui ancora non si conosce il nome, osservò una parte del terreno che rivelava la sommità di una scala sepolta.
L’indizio giunse dopo anni di ricerche infruttuose e qualcosa come 150-200mila tonnellata di detriti rimossi.
Quel primo indizio, seppur minimo e ancora poco indicativo della straordinarietà a cui si sarebbe giunti negli anni successivi, venne annotato da Carter sul proprio diario in forma succinta e del tutto ingenerosa rispetto alla sua portata storica.
Anniversari anacronistici vs. Anniversari utili
Oggi quella stessa data, 4 novembre 1922, ci autorizza a ricordare un anniversario internazionale che si sovrappone al retorico e anacronistico “Anniversario della Vittoria”, riferito alla diversamente etichettata “inutile strage” (cit. papa Benedetto XV), che fu la tragedia della Prima Guerra Mondiale, con 650.000 soldati italiani che persero la vita durante il conflitto e circa un milione di soldati italiani feriti, con molti di loro mutilati.
Pare che ancor oggi qualcuno creda, o voglia illudersi, che le guerre si possano vincere.
Gli stati nazionali del Novecento, mi si perdoni l’inciso, sembravano avere una necessità esistenziale di edificare le loro fondamenta per continuare ad essere percepiti come utili, quindi beneficiare di una autorevolezza spesso auto-referenziale. Il 102-esimo anno dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, al contrario, può essere un’occasione per approfondire e tematizzare un aspetto etico dei reperti archeologici, del patrimonio di uno stato. Etica della cultura, o se vogliamo Etica delle Istituzioni.
Figure chiave legate alla tomba di Tutankhamon
Howard Carter: un archeologo non di formazione
Howard Carter naque a Londra nel 1874 da Samuel Paul Carter, un pittore ed illustratore di grande talento che lavorava dipingendo ritratti di famiglia per l’Illustrated London News.
Il padre ebbe la possibilità di conoscere il barone William Amhurst Tyssen-Amherst, uno dei più grandi collezionisti di antichità egizie dell’Inghilterra, che abitava in un paese vicino. Fu qui che il giovane Howard iniziò ad amare la civiltà egizia. Il barone lo presentò all’egittologo Percy Newberry, che lo prese in simpatia e lo raccomandò come disegnatore per una spedizione in Egitto finanziata dal British Museum. Il suo compito sarebbe stato quello di riprodurre ad acquerello le pitture tombali e gli altri reperti archeologici.
Carter iniziò a lavorare a 17 anni, in Egitto. A 25 anni diventò uno dei due ispettori capo del Service des Antiquités de l’Égipte sotto il controllo francese, sebbene l’Egitto divenne un protettorato britannico nel 1882. Nel 1907 Carter si guadagnava da vivere vendendo acquarelli a turisti danarosi, ma solo quindici anni più tardi, divenne l’archeologo più importante che il mondo intero avesse mai potuto ammirare ed elogiare.
Dopo tre settimana dalla prima annotazione, mano a mano che gli scavi proseguirono, venne alla luce l’eccezionalità della scoperta della tomba di Tutankhamon, qualcosa di così stupefacente che portò l’allora 48-enne Carter a esprimersi con una dichiarazione il cui tenore segnava l’importanza della scoperta:
Una scena che non aveva precedenti, qualcosa che non avremmo mai neppure immaginato di poter vedere
Lord Carnarvon, il mecenate con la passione dell’egittologia. Fu maledetto?
George Edward Stanhope Molyneux Herbert, quinto conte di Carnarvon, nacque nel 1866 in Inghilterra.
Conosciuto principalmente come il mecenate che finanziò la scoperta della tomba di Tutankhamon, Carnarvon era un aristocratico con una profonda passione per l’egittologia.
Educato all’Eton College e al Trinity College di Cambridge, Carnarvon ereditò il titolo di conte nel 1890, dopo la morte di suo padre.
La sua passione per l’archeologia lo portò investire parecchi fondi e finanziare scavi in Egitto a partire dal 1906.
La collaborazione tra Carnarvon e Carter iniziò nel 1907 e portò alla scoperta di numerose tombe della XII e XVIII dinastia. Tuttavia, fu la scoperta della tomba di Tutankhamon a rendere entrambi famosi in tutto il mondo.
Si stima che abbia speso circa 5.000 sterline all’anno (una cifra considerevole a quel tempo) per finanziare gli scavi. Questo investimento (forse sarebbe più corretto chiamarlo ‘spesa’) copriva i costi di manodopera, attrezzature e altre spese necessarie per le spedizioni archeologiche. Purtroppo, morì solamente qualche anno più tardi dall’inizio degli scavi, il 5 aprile 1923 a Il Cairo, a causa di un’infezione derivante da una puntura di zanzara. La sua scomparsa, però, alimentò la leggenda della “maledizione di Tutankhamon”, che si diceva colpisse chiunque disturbasse la tomba del faraone.
Tutankhamon, il faraone bambino che ristabilì l’ordine
Ebbene, sono molte, dunque, le figure legate alla tomba del faraone “bambino”. Egli, infatti, salì al trono dell’antico Egitto intorno al 1332 a.C., all’età di circa nove anni. Nato come Tutankhaten, il giovane faraone cambiò il suo nome in Tutankhamon per riflettere il ritorno al culto del dio Amon, dopo le radicali riforme religiose di suo padre, Akhenaton, che aveva tentato di instaurare il monoteismo con il culto del dio Aton.
Il culto del dio Amon
Originariamente, Amon era una divinità locale di Tebe, associata al vento e all’aria, ma con il tempo la sua importanza crebbe notevolmente. Durante il Nuovo Regno (circa 1550-1070 a.C.), Amon divenne il dio supremo, spesso identificato con Ra, il dio del sole, assumendo il titolo di “Amon-Ra”. Questa fusione simbolizzava non solo la potenza divina, ma anche l’unità tra il cielo e la terra. Amon era visto come un dio creatore, rappresentante della fertilità e della vita.
Il principale centro di culto di Amon si trovava nel grande tempio di Karnak, a Tebe. Qui si svolgevano cerimonie elaborate, e i faraoni si consideravano i suoi sacerdoti, cercando la sua benedizione per legittimare il proprio potere. Il culto di Amon si espanse in tutto l’Egitto, e molte città costruirono templi in suo onore.
Riforme di Akhenaton e ritorno del culto
La popolarità di Amon raggiunse il culmine durante il regno di Amenhotep III, ma subì una violenta interruzione con le riforme religiose di Akhenaton, che cercò di sostituire il culto tradizionale con un monoteismo focalizzato sul dio Aton. Questa riforma portò a tensioni e conflitti religiosi, culminando in una reazione di restaurazione al termine del regno di Akhenaton.
Dopo la morte di Akhenaton, Tutankhamon e i suoi successori ripristinarono il culto di Amon, indicando un ritorno alle tradizioni religiose precedenti. Questo ripristino non solo segnò la fine di un’epoca di innovazione religiosa, ma evidenziò anche l’importanza di Amon come simbolo di stabilità e continuità nel panorama religioso egizio.
Vita e regno di Tutankhamon
Visse nel lusso e morì inaspettatamente non ancora ventenne. Tra gli oltre 200 pezzi di gioielleria rinvenuti nella sua tomba c’era un ciondolo a forma di falco che si suppone venisse indossato dal sovrano. Durante il suo breve regno, che durò circa dieci anni, Tutankhamon si dedicò a restaurare i templi e le pratiche religiose tradizionali che erano state abbandonate. Questo periodo di restaurazione fu cruciale per riportare stabilità e continuità alla società egizia, profondamente scossa dalle innovazioni del padre.
Nonostante la sua giovane età, Tutankhamon dimostrò una notevole capacità di leadership, circondandosi di consiglieri esperti che lo aiutarono a navigare le complesse dinamiche politiche e religiose del tempo. Uno degli aspetti più affascinanti del regno di Tutankhamon è il mistero che circonda la sua morte prematura. Le cause della sua morte sono ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi, con ipotesi che vanno da malattie genetiche a incidenti.
Il nuovo Grande Museo Egizio (GEM), una sfida identitaria
L’eredità di quella scoperta del 1922 continua a vivere attraverso il nuovo Grande Museo Egizio (GEM) al Cairo. Il GEM ha iniziato un’apertura parziale il 16 ottobre 2024, inaugurando 12 sale che presentano una visione esaustiva della civiltà egizia. Tuttavia, la data dell’apertura ufficiale completa non è ancora stata annunciata. Il museo, situato vicino alle Piramidi di Giza, è destinato a diventare il più grande museo archeologico del mondo, ospitando oltre 100.000 reperti, tra cui l’intera collezione dei tesori di Tutankhamon.
Il legame tra la scoperta della tomba di Tutankhamon e il GEM è profondo e significativo. La scoperta di Carter ha fornito una quantità incredibile di informazioni e artefatti che hanno arricchito la nostra comprensione dell’antico Egitto. Il GEM, con le sue moderne strutture e tecnologie avanzate, offre un’opportunità unica per presentare questi tesori in un contesto che valorizza la loro importanza storica e culturale.
Il museo non solo celebra la scoperta di Tutankhamon, ma rappresenta anche un ponte tra passato e futuro. Attraverso esposizioni interattive e programmi educativi, il GEM mira a ispirare nuove generazioni di studiosi e appassionati di storia. La sua apertura segna un nuovo capitolo nella conservazione e nella presentazione del patrimonio culturale egiziano.
Da un punto di vista politico il museo, annunciato per la prima volta nel 2002 dall’allora presidente Hosni Mubarak, rappresenta un tentativo di riaffermare il controllo egiziano sul proprio patrimonio culturale. Come ha dichiarato Zahi Hawass, ex ministro del Turismo e segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egiziane, “la nostra archeologia è stata sempre nelle mani di stranieri, ora con questo nuovo centro, sarà solo nelle nostre mani“.
Le mummie del Museo Egizio di Torino possono (finalmente) tornare a Il Cairo?
Il Museo Egizio di Torino ospita una vasta collezione di reperti egizi. L’ho visitato in tre o quattro occasioni. Mi hanno sempre impressionato le mummie, oltre alle statue e ai sarcofagi, i papiri. Ho sempre trovato “fuori luogo” poterli visitare a Torino, ma tremendamente affascinante.
Le mummie egizie, vale la pena ricordarlo, sono arrivate in Italia principalmente durante il XIX e l’inizio del XX secolo, un periodo in cui l’interesse per l’antico Egitto era al suo apice. Questo interesse fu alimentato dalle scoperte archeologiche e dalle spedizioni europee in Egitto.
Ecco alcuni modi in cui le mummie sono state portate in Italia:
- gli scavi condotti da archeologi italiani in Egitto portarono alla scoperta di numerose mummie, che furono poi trasportate in Italia per essere studiate e conservate;
- gli archeologi italiani, come Ernesto Schiaparelli, che fu direttore del Museo Egizio di Torino, furono tra i protagonisti di queste spedizioni con scavi a Tebe;
- durante il periodo coloniale, era comune per i paesi europei scambiarsi reperti archeologici come segno di amicizia e cooperazione;
- le esposizioni universali del XIX e XX secolo furono occasioni in cui molti reperti egizi, incluse le mummie, furono esposti al pubblico europeo.
Che diritto abbiamo di trattenere nel nostro paese qualcosa che abbiamo preso da un altro paese e che appartiene al loro patrimonio nazionale?
Quando di recente ho visitato l’EUR – Museo delle Civiltà di Roma, ho avuto lo stesso pensiero. Sono convinto che se l’Egitto dovesse richiedere il maltolto, noi dovremmo darglielo. E spero lo faccia con tanta insistenza. Se l’Egitto dovesse richiedere il ritorno delle mummie e dei reperti presenti al Museo Egizio di Torino con la stessa insistenza con cui l’Italia ha chiesto (e continua a chiedere) giustizia per Giulio Regeni, sarebbe un’opportunità per l’Italia di dare l’esempio come paese civile e riconciliarsi con la storia.
Sulla questione del ritorno delle mummie di Torino al Cairo, tuttavia, ci diranno che è complessa e coinvolge vari aspetti storici, culturali e politici. Negli ultimi anni, c’è stato un crescente dibattito sul ritorno dei reperti archeologici ai loro paesi d’origine. Questo movimento è alimentato dal desiderio di restituire il patrimonio culturale ai luoghi da cui proviene, riconoscendo l’importanza della costruzione di un’identità e di una storia nazionale. Tuttavia, anche qui, ci sono anche argomenti a favore del mantenimento di queste collezioni nei musei internazionali, dove possono essere accessibili a un pubblico globale e contribuire alla ricerca e all’educazione.
La decisione di restituire le mummie al Cairo richiederebbe negoziati tra le autorità italiane ed egiziane, tenendo conto delle implicazioni legali e pratiche.
Come “Occidente”, dobbiamo riflettere sulla nostra arroganza e sulla presunta superiorità etica, soprattutto considerando che siamo stati artefici della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Questa sfida ci offre l’opportunità di dimostrare un vero rispetto per le culture e le storie altrui, riconciliandoci con il passato e promuovendo una maggiore giustizia culturale.
L’anniversario della scoperta della tomba di Tutankhamon e il nuovo Grand Egyptian Museum ci facciano fare “la cosa giusta”
Restituire i reperti egizi al loro luogo d’origine, come le mummie del Museo Egizio di Torino e il rispettivo corredo funebre, potrebbe rappresentare un gesto di riconciliazione e rispetto culturale. Ma non solo. Contribuirebbe perfino a promuovere una maggiore comprensione e cooperazione internazionale. Solo così potremmo dimostrare un impegno concreto verso una vera giustizia culturale.
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