Beetlejuice Beetlejuice, sequel del film cult Beetlejuice – Spiritello porcello (1988) diretto sempre da Tim Burton, si affaccia sul panorama cinematografico con una promessa pericolosa e si presenta, purtroppo, come uno dei tanti revival inutili che affollano le sale negli ultimi anni. Non era un’impresa facile quella di riportare in vita un personaggio iconico e dissacrante. All’epoca, infatti, il film era riuscito a conquistare un’intera generazione grazie ad un equilibrato mix di humor nero, atmosfere gotiche e un protagonista memorabile interpretato da Michael Keaton. Ora, quasi quattro decenni dopo il suo debutto, non solo il cinema è cambiato, ma con esso lo è anche il pubblico, e ciò che funzionava in passato, oggi, potrebbe facilmente risultare superato e forzato, rischiando così di tradire la freschezza e l’originalità che avevano decretato il successo della prima pellicola.

Vengo! Hahaha! Vengo a farmi risvegliare, ragazze! Niente male! Ehi, Adam! Bella mossa, grazie! – Beetlejuice in “Beetlejuice – Spiritello porcello”
Un cast che non basta per eguagliare il primo “Beetlejuice”
La partecipazione di Monica Bellucci, seppur intrigante sulla carta, non aiuta e solleva altrettanti dubbi sulla direzione creativa. La scelta di casting risulta fatta più per attirare curiosità mediatica che per reali esigenze narrative. La diva italiana non rappresenta un’aggiunta degna di nota all’universo grottesco di Burton. Anzi, piuttosto lo svilisce. La stessa storia d’amore tra Beetlejuice e un personaggio come quello della Bellucci sembra un passo falso: un tentativo di dare una dimensione sentimentale ad una “maschera” che ha sempre funzionato proprio per la sua anarchia e la totale mancanza di profondità emotiva.
Certo, la presenza di Michael Keaton, che riprende il ruolo dell’irriverente spirito, offre una garanzia al film in termini di carisma. La sua interpretazione è cruciale per mantenere viva la follia anarchica del primo capitolo. Tuttavia, non è sufficiente a tenere in piedi la commedia: come spesso accade con i sequel a distanza di decenni, si finisce per cadere in un esercizio di stile, più orientato a riproporre vecchie idee anziché innovarle.

Un Tim Burton ripetitivo e incapace di reinventarsi
Un altro aspetto critico del film riguarda lo stesso Tim Burton. Negli ultimi anni, il regista ha alternato successi e produzioni meno apprezzate dalla critica, suscitando perplessità sulla sua capacità di rinnovare la sua poetica visiva. Se nei decenni passati il suo stile gotico e fiabesco era considerato rivoluzionario, adesso appare ripetitivo, quasi fosse una reiterazione stilistica nostalgica e senza sostanza.
La presenza di un cast eclettico, che, oltre a Keaton e Bellucci, include anche Winona Ryder e Jenna Ortega, suggerisce che il lungometraggio punterebbe a porsi come ponte di collegamento tra il vecchio e il nuovo, con la volontà di rispettare i fan di lunga data e conquistarne di nuovi. A tal proposito, la Ryder, che riprende il suo ruolo di Lydia Deetz, potrebbe fungere da linea di continuità tra queste due epoche, mentre la giovane Ortega, molto apprezzata grazie soprattutto alla serie televisiva Wednesday (sempre di Burton) e alla partecipazione nel film Scream, rappresenta il volto di una nuova generazione di attori e ammiratori. Un espediente che potrebbe esser persino geniale e azzeccato, se solo avesse delle basi più solide sulle quali sorreggersi.
Insomma, per chi conosce e ha amato il classico degli anni ’80, è evidente che Beetlejuice Beetlejuice appaia come un pallido riflesso del capolavoro originale, incapace di offrire qualcosa di davvero interessante e innovativo, al pari del suo predecessore. E forse è proprio per questo che, in fin dei conti, sarebbe stato meglio lasciare il personaggio lì dove era rimasto: nei ricordi degli spettatori, senza il bisogno di inserirlo in un sequel di cui pochi sentivano la necessità!
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