Che il Governo Meloni sembri avere un delicato rapporto con i pilastri fondanti della libertà democratica non è un mistero per nessuno. Anzi, nel corso dei suoi primi due anni di mandato, l’unica cosa in cui l’attuale Esecutivo pare esser riuscita, al netto delle solite promesse da propaganda elettorale, è stata quella di attirare su di sé un numero crescente di polemiche per via di quegli svariati provvedimenti che eroderebbero i principi liberali alla base della Repubblica Italiana (senza contare, naturalmente, i vari scandali di cui diversi esponenti del Consiglio dei Ministri sono stati in grado di rendersi protagonisti). Dalle limitazioni delle libertà individuali alla gestione della politica sull’immigrazione, passando per le presunte pressioni a giornalisti e realtà editoriali, sono molti gli ambiti in cui Giorgia e i suoi amati Fratelli(ni) d’Italia avrebbero compiuto più di un passo falso.
E così, tra chi inneggia nuovamente al fascismo e chi paventa l’arrivo di una nuova forma di dittatura (i sociologi la chiamano “democratura”, in riferimento all’infiltrazione e all’attuazione di cardini autoritari attraverso gli strumenti della democrazia), ci sono le parole di Michela Murgia che ci rammentano che:
Tutto sembra grande, se si sta in ginocchio
I passi falsi del Governo Meloni e la reazione dell’OCF
Sin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha attuato una serie di manovre che, pur essendo ammantate da buoni propositi “in nome della Patria“, avrebbero fatto ben poco gli interessi di quest’ultima. Basti pensare all’inasprimento dei controlli e al discusso decreto sui rave party che, limitando i raduni non autorizzati, ha sollevato questioni etiche e sociali sul diritto di associazione e manifestazione. Oppure, alla stretta sulle ONG e al decreto per la regolamentazione dei flussi migratori, con conseguente costruzione di centri in Albania e relativo sperpero di denaro pubblico, che, con il blocco di attività di salvataggio autonomo in mare, ha lanciato un chiaro segnale a chi si oppone alla linea governativa.
Sul fronte giuridico, invece, il conflitto latente con l’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) per la Riforma della Giustizia ha alimentato il timore di un’ingerenza eccessiva del potere esecutivo sull’indipendenza della Magistratura. Per non parlare delle tensioni con la Commissione Europea in merito alla gestione di fondi e progetti, dove la parola d’ordine sembrerebbe essere il consolidamento di una deriva decisionale unilaterale, o del sistematico controllo sul dissenso.
Il caso dell’Organismo Congressuale Forense
Insomma, appare innegabile che il Presidente Meloni, come da lei stessa dichiarato in più occasioni, voglia “difendere la libertà”, purché questa sia allineata alla narrazione vigente e al percorso governativo, percorso che gran parte degli italiani (e non parliamo di quel 27% spacciato a più riprese per la maggioranza dei cittadini aventi diritto al voto) non avrebbe alcuna intenzione di intraprendere. Un po’ come l’Organismo Congressuale Forense, il quale, seguito di un Assemblea tenutasi il 18 e il 19 ottobre, ha deciso di diramare un Comunicato Ufficiale sul DDL Sicurezza recentemente approvato che, a detta dell’Istituzione, minerebbe pesantemente uno dei baluardi della democrazia odierna: l’inalienabile diritto alla difesa del cittadino!
Il Comunicato
“L’Organismo Congressuale Forense ritiene contraria agli interessi dei cittadini la linea di politica criminale che il Governo adotta ormai sistematicamente.
E’ vero che, di recente, alcune riforme, soprattutto di natura processuale, sono state in linea con gli auspici dell’avvocatura, ma va sottolineato che il diritto penale negli ultimi due anni è stato modificato estendendo il suo raggio di applicazione e accentuandone il volto autoritario. Non si può immaginare l’esistenza di un sistema processuale che sia effettivamente garantista in presenza di un diritto penale sostanziale illiberale.
Anziché perseguire un diritto penale minimo si è intrapresa la strada del diritto penale massimo, il tutto senza considerare che è un inganno culturale ritenere che il miglioramento della società e il contrasto a fenomeni devianti passi attraverso il ricorso al diritto penale.
Il focus
Il recente pacchetto c.d. Sicurezza, già approvato alla Camera dei Deputati, è solo l’ultima di una serie di riforme che tendono a uno Stato che opprime i diritti del cittadino, relegato in angusti e ridotti spazi di libertà e costantemente minacciato dalla prospettiva di essere incriminato e condannato ad anni di carcere, finanche in occasione della manifestazione di un pensiero dissenziente.
Ed è così che in questi due anni abbiamo assistito:
a) Alla introduzione di nuovi reati di pericolo con pene sproporzionate che criminalizzano raduni o assembramenti di persone;
b) Alla elevazione sistematica delle pene già previste in risposta a fatti di cronaca, anche attraverso l’introduzione di circostanze aggravanti, espressione di populismo penale;
c) Alla estensione della detenzione in carcere nei confronti di minorenni, soggetti vulnerabili con personalità in via di formazione;
d) Alla introduzione di nuove misure di prevenzione che si affiancano ai delitti e creano quello che si può definire un terzo binario oscurantista, costituito da pene detentive, sorveglianza speciale e varie forme di aggressione al patrimonio dei cittadini spesso azionate simultaneamente, il tutto con incertezza anche sulla libertà imprenditoriale ed economica;
e) Alla moltiplicazione di misure interdittive e di polizia.
Negli ultimi venti anni ogni Governo si è contraddistinto per una visione carcero-centrica e spesso il solito decreto c.d. sicurezza ha prodotto norme dichiarate successivamente incostituzionali (purtroppo solo dopo avere leso la libertà dei cittadini); si pensi alle varie pronunce della Corte Costituzionale in tema di custodia cautelare obbligatoria, di applicazione retroattiva della ostatività (legge c.d. “Spazzacorrotti”) o volte a porre rimedio alla irragionevole sproporzione della cornice edittale prevista per alcuni reati, da ultimo in tema di appropriazione indebita (sentenza della Corte Costituzionale n° 46/2024).
Un provvedimento non condivisibile
L’Organismo politico dell’avvocatura ritiene, anche in questo caso, ineluttabile contrastare le previsioni dell’ultimo, e non ancora definitivamente approvato, ddl c.d. sicurezza, ispirato a un modello di diritto penale illiberale e non condivisibile.
Non è ammissibile, infatti, introdurre reati e inasprire le pene a danno dei soggetti vulnerabili quali sono i senza tetto, i cittadini rispetto all’autorità pubblica, i detenuti, gli immigrati o chi manifesta una
opinione dissenziente. Le modifiche non fanno che determinare ricadute sul sistema processuale a danno dell’innocente e restringono in maniera inammissibile gli spazi difensivi. Inoltre, prevedono l’incriminazione a fronte di condotte che sarebbero adeguatamente tutelabili attraverso altri settori dell’ordinamento giuridico.
E’ fin troppo ovvio il riferimento a:
a) la previsione di pene edittali sproporzionate nel minimo e nel massimo per il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile;
b) la previsione della rilevanza penale della resistenza passiva, quale mancato ottemperamento da parte dei detenuti a un ordine della polizia penitenziaria, addirittura con la inclusione del reato tra quelli ostativi di cui all’art. 4 bis O.P.;
c) l’inserimento del reato di truffa tra quelli per i quali è previsto, oltre all’aumento di pena, l’arresto obbligatorio in flagranza, con ovvi riflessi in tema di utilizzabilità delle intercettazioni;
d) previsione della rilevanza penale e di circostanze aggravanti per il caso del blocco stradale a fine di protesta per il quale fino ad oggi è prevista la sanzione amministrativa dalla legge del 1948;
e) introduzione di circostanze aggravanti sottratte a un pieno bilanciamento per il caso di resistenza alle autorità di polizia;
f) aumento di pena e introduzione di una circostanza aggravante in caso di reati commessi per manifestare il dissenso alla realizzazione di infrastrutture pubbliche o opere strategiche.
Modifiche che minano il diritto alla difesa
Si tratta di modifiche al codice penale che rischiano di rendere succube e indifeso il singolo di fronte a uno Stato sempre più autoritario, che tende a disincentivare il confronto e la manifestazione di un contrario pensiero e che utilizza la minaccia del carcere quale strumento di coercizione sociale.
Non è un caso che nel ddl sicurezza sia previsto l’ampliamento delle ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza e dei reati ostativi. Modifiche che accentuano il ricorso al carcere e che sono contrarie a quelle necessarie per combattere il sovraffollamento carcerario e limitare i suicidi dei detenuti; unitamente alla previsione dell’ampliamento del ricorso al carcere per donne con bambini in tenera età.
Si tratta, di modifiche che non risolvono i fenomeni devianti, quindi inutilmente severe, che disegnano l’idea di uno Stato forte con le persone deboli, anche quelle allo stesso affidate e addirittura repressivo nei confronti di chi manifesta il proprio dissenso.
Simili riforme disequilibrano il rapporto Stato-cittadino, spostano i bisogni del singolo ai margini in contrasto con la nostra Costituzione. Un diritto penale che rischia di sminuire qualunque modifica, anche
la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, che vedrebbe ridotta la sua efficacia a fronte di un sistema penale sempre più vincolante per il giudice.
L’Organismo Congressuale Forense, preso atto del pericolo per la libertà del cittadino che deriva da modifiche al codice penale in chiave autoritaria, chiede che il Governo riveda il ddl c.d. Sicurezza e si apra
una stagione di confronti proficui con l’intera avvocatura per rendere il nostro sistema penale moderno, autenticamente liberale e virtuoso esempio per la Comunità Internazionale in un momento in cui è diffusa l’assenza di sensibilità verso l’essere umano in quanto tale”.
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Complimenti Diego. Un articolo chiarissimo che approfondisce i termini della questione e punta l’attenzione sui pericoli della “Democratura” .
Ottima disamina, puntuale e precisa!