Sono 25 anni che ci tormentiamo nel desiderio di ritrovarci all’improvviso imbucati in una festa, come quella in Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, che ha le sembianze di un rito iniziatorio. Dove damigelle e cortigiani sono piumati solo da una maschera e da un mantello. Dove ogni stanza è piena di corpi curiosi e di affanni ripetuti.
Questa è l’ultimo sogno di dannazione che ci ha lasciato Stanley Kubrick un quarto di secolo fa con l’uscita sui grandi schermi di Eyes Wide Shut.
L’ultimo film del regista che ha innovato le forme narrative ed ha farcito la torta con le ipocrisie dell’uomo contemporaneo. Si sono scritte infinite pagine sul significato di questo lungometraggio e sul senso del finale (non dirò nulla a riguardo perché magari esiste ancora qualche naufrago cinematografico che non l’ha ancora visto. Detesto gli spoiler quindi non ne sarò carnefice). Non andate a leggerle. Guardatevi o riguardatevi questo spettacolo di insoddisfazione umana macerata nell’ignoto piacere.
Da allora le nostre orecchie sono sempre tese a carpire info e ubicazioni segrete nel chiacchiericcio del vicino di tavolo al bar. “Perché non si sa mai. E devo sempre farmi trovare pronto”.
Il che non significa necessariamente portare con sé uno smoking. È invece essenziale essere pronti e predisposti all’improvviso: quella strana cosa che non avevi in calendario e che in un attimo ti spegne e ti riaccende la testa, il sorriso, la vita.
Quindi aspettiamo. Anche se è un’attesa che può durare eoni.
Ma non ci perdiamo d’animo. Come fosse una nuova fede senza preti – quella nell’improvviso (per alcuni strettamente orgiastico) – che non ci assilla e non ci scuote.Il classico esempio di sogno nel cassetto. Adagiato comodamente sul suo fondo poco spesso ma rigido di compensato, nella soporifera penombra, circondato dagli oggetti funzionali che devono essere sempre a portata di mano quando si è a letto. ll libro che non abbiamo mai cominciato a leggere, i preservativi, il cavetto usb per il vibratore, il moment, una cartina, e altri giocattoli senza più vita o semplicemente annoiati.

La seconda dannazione che ci ha lasciato uno dei più grandi cineasti della storia: la speranza.
Possibile che un semplice pensiero d’impossibile che magicamente potrebbe diventare possibile (solo nelle favole) sia capace di illuminarci in viso e riempirci di euforia?
Ma quanto siamo rincogl*oniti?
“Un sogno non è mai soltanto un sogno” diceva il dannante Stanley Kubrick
Ispirato nella creazione del suo ultimo film da “Doppio Sogno” di Arthur Schnitzler, l’amico Stanley ci fa piegare in avanti per poter osservare con cura il sogno al di là del buco della serratura. Una languida parafrasi delle intenzioni di Lewis Carroll che usava la biondina intraprendente (in “Alice al di là dello specchio”) per viaggiare nella coscienza e nelle letture degli stati di incoscienza.
Quello che credo faccia e voglia Kubrick in tutti i suoi racconti filmici. Senza mai smettere di lasciarci in gola quell’inquietudine data dal prendere coscienza che siamo animali sociali eternamente insoddisfatti.
Invece di continuare a sognare, sarebbe molto più semplice ed efficace diventare performanti manager (o, meglio, CEO) della nostra esistenza, sbatterci quanto basta per organizzare una bella festa in una casa in campagna con ampi saloni dove il dress code è una conchiglia sui genitali e un mantello per non prendere troppo freddo quando si esce a fumare.
Sognare è una grande involontaria invenzione. Ma inventare la soluzione al sogno è la migliore opportunità che un cuscino possa darci.
Se vi servisse un sacerdote con bastone e professionalità da cerimoniere, trovate i miei contatti facilmente.