L’Intelligenza Artificiale sta facendo passi da gigante e che questo sia un bene o meno è ancora tutto da vedere. Al di là di qualsiasi scetticismo o perplessità, però, sta di fatto che l’IA si sta dimostrando abile nel sostituirsi a moltissime e ad altrettante persone, tant’è che ora è arrivata a sostituirsi persino a Gesù! Ebbene sì, perché, Deus in Machina, confessarsi con il Redentore in persona, seppur nella sua versione digitale, non è più un’utopia dal momento che un’installazione in Svizzera ne ha portato l’ologramma di all’interno del confessionale. Un’innovazione, non c’è che dire, ma che ci spinge ad una profonda riflessione.
Un Cristo senz’anima e un autentico “Deus in Machina”
L’idea di un Cristo virtuale che confessa i fedeli, per quanto stravagante e all’ultimo grido possa sembrare ai più appassionati del settore, è una metafora potente del nostro tempo, una provocazione che ci costringe a ragionare sui confini della tecnologia e sul ruolo della spiritualità nell’era digitale. È una scintilla che accende interrogativi profondi, non solo sulla fede, ma anche e soprattutto su cosa significhi “essere umani”.
In un mondo sempre più connesso ma spesso alienante, l’Intelligenza Artificiale offre una disponibilità costante, un conforto programmato che simula empatia e comprensione. Eppure, questa esperienza porta con sé un rischio evidente: la sostituzione dell’umano con l’algoritmo, non solo nelle professioni o nei servizi, ma perfino nelle sfere più intime e sacre della nostra esistenza. Possiamo davvero considerare “sacro” un momento che si affida alla replica di ciò che riteniamo “divino”? O stiamo soltanto entrando in una zona grigia in cui il sacro diventa simulazione e la relazione con il divino si trasforma in un’interazione con un software?
Può l’IA assumere il ruolo di un oracolo?
Gesù, nella tradizione cristiana, non è solo un maestro di saggezza o un consigliere morale. AL contrario, è un simbolo vivente di compassione, sacrificio e amore incarnato. Ridurre questa figura a un ologramma che risponde con algoritmi non rischia forse di banalizzare la profondità della relazione che un fedele cerca nella confessione? La confessione, con il suo carico di emozioni, silenzi e vulnerabilità, è un dialogo tra anime, un atto che richiede ascolto autentico, capacità di intuire il non detto, e una presenza che va oltre le parole. L’IA, per quanto sofisticata, non potrà mai colmare questa mancanza.
La nostra anima è come una mongolfiera. Se per caso c’è un peccato mortale, l’anima ricade a terra. La confessione è come il fuoco sotto il pallone… È importante confessarsi spesso – Carlo Acutis
Attenzione, l’intento non è quello di condannare l’esperimento di Lucerna, che a ben vedere apre anche uno spiraglio interessante, non tanto per la sua funzione pratica, ma per il suo valore simbolico e artistico. Ci costringe a fare i conti con il crescente ruolo della tecnologia nelle nostre vite, persino nei luoghi dove non l’avremmo mai immaginata. Forse, l’obiettivo di “Deus in Machina” non è sostituire Dio, ma costringerci a ripensare cosa cerchiamo davvero nella fede, nella comunità religiosa e nella relazione con il divino. Cerchiamo risposte veloci e personalizzate, o un senso di appartenenza e significato che nessuna macchina può offrire?
E qui sta la vera domanda: l’avvento del “Gesù virtuale” è un fallimento della spiritualità tradizionale, incapace di dialogare con il mondo moderno, o una dimostrazione del nostro bisogno di sacro, persino nei modi più impensabili? Forse entrambe le cose. La tecnologia, ribadiamolo, non può sostituire l’umano, ma può essere uno specchio che riflette le nostre inquietudini e aspirazioni. Sta a noi decidere se vogliamo usarla per avvicinarci a noi stessi e agli altri, o per allontanarci ancora di più dall’essenza di ciò che siamo.
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