Sono già trascorsi 15 anni da quando Alda Merini, la poetessa dei Navigli, ha lasciato la dimensione terrena, anni in cui la sua poesia si è espansa in modo esponenziale riconoscendo in quella “pazza” la manifestazione incarnata dell’ispirazione poetica. Ma, come tutti i grandi, il patimento non ha risparmiato neanche una virgola, è stata la pazza della porta accanto, uno sgangherato orpello da cui liberarsi e senza indugio, internata dentro quelle mura di Gerico che ha tanto cantato nei suoi componimenti:
Le più belle poesie / si scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piegati / e le menti aguzze dal mistero. / Le più belle poesie si scrivono / davanti a un altare vuoto, / accerchiati da agenti / della divina follia
L’amore sconfinato di Alda Merini per la poesia
Da ragazza Alda mostrava sconfinato amore verso la poesia, tant’è che, ne Il Paragone, Pier Paolo Pasolini disse: «Di fonti per la bambina Merini non si può certo parlare: di fronte alla spiegazione di questa precocità, di questa mostruosa intuizione di una influenza letteraria perfettamente congeniale, ci dichiariamo disarmati». A questo periodo, inoltre, risale il grande incontro con Rainer Maria Rilke, i versi rilkeani saranno quel filo d’argento imprescindibile che legherà la Merini alle musa della poesia: versi e donna non distanziano morbidezza e punte di lama, una coincidenza di note libere, strofe che elevano l’amore, ma al tempo stesso non zittiscono l’esigenza di denuncia.
Con la poesia Albatros (“Io ero un uccello/dal bianco ventre gentile,/qualcuno mi ha tagliato la gola/per riderci sopra,/non so./Io ero un albatro grande/e volteggiavo sui mari./Qualcuno ha fermato il mio viaggio,/senza nessuna carità di suono./Ma anche distesa per terra/io canto ora per te/le mie canzoni d’amore”) Alda non fa arrendere il suo cuore che ha mosso tutta la sua poetica. L’Albatros ferito canta anche disteso, è la forza dell’amore che vivifica e che trascende il contingente per toccare la metafisica dei sensi.
Un animo ipersensibile che non tutti hanno compreso
In una delle innumerevoli biografie si legge che fin da giovanissima incontrò le prime ombre della mente, espressione ambigua perché ci fa pensare ad una ragazzina disturbata e alienata. Al contrario, era un’anima ipersensibile, pelle di carta velina che ad ogni soffio percepiva il movimento delle emozioni. Spesso ci si incanala più sulla Merini personaggio che sulla letterata, e ciò accade perché il pubblico, soprattutto quello italiano, è incapace di ricavare dalle sue opere il percorso dell’esperienza che ha dovuto affrontare. Alda leggeva molto e suonava il pianoforte, ma non offrì mai un accenno di donna che aveva ingoiato pagine di letteratura: lei praticava la cultura a differenza di chi espone l’istruzione senza capirne l’essenza.
Dopo aver raggiunto la popolarità grazie al Maurizio Costanzo Show, lei stessa rivela la sua amarezza quando la si associa al manicomio. Da poeta dice: “Il manicomio era la realtà di quegli anni con cui dovevo fare i conti ogni giorno, pertanto l’ho elevato al livello di poesia“. La stessa cosa se fosse stata un’altra esperienza, un amore o altro ancora. Perciò, ha cantato un aspetto della vita e il manicomio, anche se una fortissima esperienza, era un accidentale non di certo il motivo principale della sua poesia.
Icona della poesia
Dal 2010 Alda è diventata un’icona della poesia stessa, così come la parete della sua camera da letto che utilizzava come taccuino personale, scrivendo sulle pareti con il suo amato rossetto. Ovviamente sorgono delle domande inevitabili: perché subito dopo la morte, gli stessi che l’hanno condannato in vita, post mortem ne hanno assolto il modo di vivere? È stata condannata per la libertà, di cui tutti parlano pur restando incapaci di viverla.
Dopo il manicomio, lei ha sentito l’esigenza di vivere e fare tutto ciò che sentiva dentro, curandosi poco della formalità. Ha eletto come sovrano della sua esistenza l’essenza del dialogo. Sappiamo, poi, che ha aiutato molti ragazzi per le tesi di laurea in letteratura italiana e che la sua porta non era mai chiusa, riceveva dai politici ai poeti fino ad arrivare a quelli che sono considerati gli ultimi.
“Dare” era più importante di “ricevere”
Quando vinse il premio Guggenheim, trentasette milioni e mezzo, per tre mesi si affittò una suite in uno dei migliori hotel di Milano ed ogni sera si recava con quegli ultimi nei migliori ristoranti, dove invitava tutte le persone bisognose. Voleva, semplicemente, regalare attimi di felicità a chi non ne aveva mai avuto. Ribadiva sempre che i soldi le servivano, non per lei stessa, ma per donare qualcosa agli altri, per fare beneficenza.
Un giorno, trovandosi a passeggiare in un mercato, vide un ragazzo di colore che vendeva degli oggetti e dei soprammobili per casa. Alda comperò tutta la bancarella per 500.000 Lire e disse: “Ho reso felice una persona e poi delle cianfrusaglie non importa“. Più tardi, le fecero recapitare le scatole a casa, ma le lasciò quasi tutte chiuse. In fondo, non le importava nulla di quegli oggetti, amava donare, e donarsi soprattutto. Quanti episodi dolorosi dovette subire proprio per questo bisogno di espandere sorrisi!
Un’eredità da praticare, non da contemplare
Ci sono diversi momenti della vita di Alda che dovrebbero essere raccontati, ma le lame della ipocrisia sono sempre ben affilate. Valentina Cortese fu l’unica che mantenne sempre viva la la memoria di Alda, tutti gli altri non mossero neanche un dito quando ci fu quella famosa vicenda del Muro degli Angeli. La Casa Museo nacque dagli aiuti del Sud, precisamente grazie a due giovani uomini campani, e le figlie lo hanno ribadito più volte.
Oggi, Alda è ricordata probabilmente da molti, specialmente da chi conosce la grande sofferenza dello spirito umano. A distanza di 15 anni, però, nulla sembra essere cambiato, si adora il mito, forse la donna, ma trasformarsi attraverso la poesia è difficile. Eventi, serate, salotti e così via, a cosa servono? La Merini è stata sacerdotessa del parnaso, non ha lasciato una eredità da contemplare ma da praticare. Uno dei poemi più belli, dal titolo La Terra Santa, chiosa con una strofa che non ha eguali: “Anche io come Gesù ho avuto la mia Resurrezione ma non sono salita e cieli sono discesa all’inferno da dove riguardo stupita le mura di Gerico antica”.
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Chi meglio di te poteva raccontarla , lei , tu , legati da un qualcosa di divino . I poeti quei pazzi , illusi , sognatori che sono capaci di cambiare la condizione umana , solo con le loro premonitrici parole . Sei grande ed hai raccontato una grande .
Theo, ho letto il tuo articolo con un groppo in gola, per la forte emozione che mi hanno trasmesso le tue parole.
Io adoro Alda Merini, è la mia musa ispiratrice a tutto tondo.
Nella mia vita di donna e di umile scrittrice, Alda mi ha molto influenzata, soprattutto nel modo di intendere la vita senza inutili ipocrisie, aperta, sino allo spasimo, all’ attenzione per gli altri, a cercare di dare quel grammo di felicità che questa oscura società ci nega tutti i santi giorni.
Bravissimo!