Manca meno di una settimana alla conclusione delle Olimpiadi 2024, la più grande e illustre manifestazione sportiva al mondo che, ogni quattro anni, riunisce tutte le Nazioni sotto un’unica bandiera. Difatti, polemiche e proteste a parte, quelle non mancano mai, si tratta di uno dei pochi eventi (per non dire l’unico) in grado di abbattere qualunque muro eretto dalla diversità, con una forza persino maggiore rispetto a quella di uno scontro armato. Non a caso, i giochi che la fanno da protagonisti rappresentano forme di competizione ben più elevate e nobili rispetto alle “pratiche” dell’arte della guerra, sebbene quest’ultime presentino comunque delle affinità con le prime, tant’è che Nelson Mandela, nel corso del suo discorso ai Laureus Awards nel maggio del 2000, dichiarò:
Lo sport ha il potere di cambiare il mondo
Ma sarà vero?
Oltre le Olimpiadi 2024: cosa hanno in comune sport e guerra?
Immaginiamo che la guerra rappresenti una nota musicale bassa, come un Do grave. Questa nota può essere percepita come pesante e cupa. La guerra, infatti, è spesso associata a distruzione, sofferenza e perdita. Lo sport, invece, potrebbe essere paragonato a una nota musicale alta, come un Do acuto. Qui la nota è più leggera e brillante, e può evocare sensazioni di gioia e armonia. E in effetti, lo sport promuove valori come la lealtà, il rispetto, la disciplina e la collaborazione.
Le Olimpiadi, in particolare, rappresentano un momento di unione tra i popoli, dove atleti provenienti dai più svariati Paesi competono pacificamente. In questo senso, lo sport può essere visto come un’ottava superiore della guerra, una forma di competizione che eleva l’umanità e promuove la pace e la comprensione reciproca, piuttosto che il conflitto e la distruzione.
La teoria del cosmopolitismo
I giochi olimpici di Parigi rappresentano una splendida occasione per identificarci nell’umanità. Tuttavia, proviamo ad andare ancora oltre all’ordinarietà, dirigendoci verso mete forse utopistiche e chiedendoci se davvero sia necessario “dividerci” ancora in Nazioni. Me lo domando da vessillologo, cioè da studioso di bandiere, seppur ancora agli inizi della “carriera” essendo socio del Centro Italiano di Studi Vessillologici, e ovviamente da cittadino italiano. Ciò a cui mi riferisco, nello specifico, è la teoria del cosmopolitismo.
Il termine deriva dal greco antico κόσμος (kósmos, “cosmo, universo ordinato, mondo”) e πολίτης (polítēs, “cittadino”). Chi sostiene il cosmopolitismo, cioè il cosmopolita, considera se stesso “cittadino del mondo”. Questa espressione venne usata per la prima volta da Diogene di Sinope, un filosofo cinico dell’antica Grecia, che si definiva come ϰοσμοπολίτης (cosmopolita) a chiunque gli chiedesse quale fosse la sua patria.
Alla luce di questo, nell’ottica olimpionica per qualcuno potrebbe essere una bestemmia non abbinare ad un atleta la propria nazionalità, eppure si potrebbe pensare “oltre”, almeno come esercizio teorico: squadre di atleti in competizione che rappresentino non una sola nazione, ma un intreccio casuale di nazionalità. Pensare oltre le olimpiadi potrebbe voler dire intendere ogni atleta come rappresentante dell’intera umanità, dell’intero globo terrestre e non solamente di una sua minuscola porzione coperta. Basti pensare che nella prima edizione delle Olimpiadi moderne, che si tenne nel 1896 ad Atene, parteciparono 241 atleti e la maggior parte di essi non erano suddivisi per delegazioni nazionali, ma iscritti individualmente.
Un’idea più originale: la “globalizzazione della fraternità”
Un’idea più originale sarebbe quella della “globalizzazione della fraternità”. L’espressione è stata coniata da Papa Francesco un decennio fa, in occasione della XLVIII Giornata mondiale della pace (2015). Confesso che mi è rimasta impressa nella mente, facendo nuovamente ardere il desiderio adolescenziale di una cittadinanza globale (un sogno che molti hanno anche da adulti per la verità)!
La Patria, un concetto complesso
La Patria rappresenta un concetto di notevole complessità, che richiede una riflessione pragmatica. Le nazioni rivestono un’importanza fondamentale, così come il sentimento di appartenenza che ci lega ad esse. I nostri antenati hanno sacrificato la propria vita per affermare principi di libertà, di cui tutti (chi più e chi meno) godiamo oggigiorno, e lasciarci in eredità beni preziosi quali la Costituzione, le istituzioni, la democrazia, la pace, il benessere, il progresso, la casa e la sicurezza. Questo è un debito che non potremo mai estinguere completamente. Tuttavia, è indubbio che la Patria abbia avuto una propria strumentalizzazione e debba trovare il giusto riconoscimento nella storia.
Per dissipare qualsiasi dubbio riguardo a visioni pessimistiche e catastrofiste, è importante sottolineare che gli Stati non sono entità obsolete. Le istituzioni non sono destinate a essere sostituite da autarchie, e ci auguriamo che ciò non accada mai. Le Olimpiadi, ad esempio, rappresentano un’occasione per celebrare coloro che hanno conquistato medaglie d’oro come “eroi nazionali”, al pari di quegli eroi di guerra che hanno perso la vita e di cui dovremmo mantener vivo il ricordo con maggior passione. Perché continuare ad onorarli potrebbe aiutarci a mantenere la guerra lontana dalle nostre famiglie, non perché ne abbiamo paura, ma perché non ne sentiamo alcuna necessità.
Olimpiadi ieri e oggi: medaglieri e riconoscimenti
Comunque, per quel che riguarda le Olimpiadi, esse devono il loro nome a Olimpia, un’antica città greca. Ogni quattro anni, Olimpia ospitava le celebri competizioni atletiche, che consistevano principalmente in cerimonie ed eventi sacri, e avevano una durata di cinque giorni. Le prime Olimpiadi si tennero nel 776 a.C. e le ultime nel 393 d.C.. Le competizioni sportive includevano varie discipline come corsa, lotta, salti, lanci, corse con il carro e corse a cavallo. I vincitori ricevevano corone di foglie di olivo come premio, dunque, non vi era alcun tipo di medaglia.
Al contrario, oggi di riconoscimenti e medaglieri se ne trovano a iosa. Tempo fa, ad esempio, mi è capitato di lavorare alla creazione di una bozza di una voce di Wikipedia che faceva riferimento ad un medagliere in ambito militare. Lì per lì non ho saputo sottrarmi ad un confronto con il medagliere di Paris 2024, che pare essere la cosa più importante del pianeta in questi giorni! Ciò che segue va a sostenere la tesi che ho cercato di esporre all’inizio, cioè quella secondo cui lo sport è una guerra, con la differenza che è suonata ad un’armonica superiore. Nello specifico i medaglieri olimpici moderni e i medaglieri militari presentano alcune rimarchevoli somiglianze, pur appartenendo a campi molto diversi.
Ecco il confronto:
- Riconoscimento del merito. Entrambi i medaglieri servono a riconoscere e premiare l’eccellenza e il merito. Nel caso delle Olimpiadi, le medaglie vengono assegnate agli atleti che eccellono nelle loro discipline sportive. Nei contesti militari, le medaglie vengono conferite ai soldati per atti di valore, coraggio o servizio distintivo (un esempio potrebbe essere il Medagliere Nazionale dell’Arma di Fanteria, che vanta 745 medaglie complessive).
- Simbolismo. Le medaglie, sia olimpiche che militari, sono simboli di onore e prestigio. Rappresentano il riconoscimento ufficiale di un risultato eccezionale o di un servizio meritorio.
- Cerimonie di Premiazione. Sia nelle Olimpiadi che nelle forze armate, le medaglie vengono spesso consegnate durante cerimonie formali. Queste cerimonie servono a celebrare i risultati e a rendere omaggio ai destinatari delle medaglie.
- Storia e Tradizione. Entrambi i tipi di medaglieri hanno una lunga storia e tradizione. Le Olimpiadi moderne risalgono al 1896, mentre le medaglie militari hanno radici ancora più antiche, risalenti a secoli fa.
- Classifiche e Record. Nei medaglieri olimpici, le nazioni vengono classificate in base al numero di medaglie vinte. Analogamente, nei contesti militari, esistono classifiche e record relativi alle medaglie conferite per atti di eroismo o servizio.
In conclusione, lo sport ha un enorme potenziale, può elevare i sentimenti dell’umanità e promuovere la pace e la comprensione reciproca, piuttosto che il conflitto, la distruzione, coltivare il rancore e l’odio. La metafora musicale utilizzata sottolinea come lo sport – se ben interpretato dai vari attori – possa essere una forma di competizione che migliora e unisce, piuttosto che una follia che divide e distrugge. La bandiera dei cinque cerchi dovrebbe (ancora) poter rappresentare questa opportunità, a patto che la narrativa che accompagna l’evento produca valore, sia centrata su valori!
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Meravigliose parole che fanno di questo articolo l’emblema dello SPORT, quale momento di fratellanza.
Molto giusta l’immagine delle Olimpiadi come ottava superiore della guerra: in quale altro momento nella vita moderna si prova una senso di appartenenza alla nazione, se non quando un Italiano partecipa ad una finale olimpica?
Perché mai si prova quella emozione istintiva di commozione ed entusiasmo davanti alla cerimonia di una “nostra” medaglia d’oro olimpica, con tanto di inno di Mameli e bandiera?
Peccato che in questa Olimpiade la propaganda della ideologia Woke, che tiene conto esclusivamente dei sentimenti individuali, abbia trasformato l’ottava della metafora musicale (intervallo perfetto) in una leggera ma sgradevole dissonanza.